Ho seguito per molti anni le tematiche degli impianti a fune. Partendo dalla piccola stazione "Sitib" ad Estoul Palasinaz, divenni vice presidente della "Associazione nazionale esercenti funiviari - Anef" grazie ai buoni uffici di Ferruccio Fournier, sempreverde protagonista del settore, allora mio amico. Da deputato, prima a Roma e poi in Europa, facevo il "lobbista" buono (ed ovviamente gratis!) degli impiantisti, mondo assai interessante e chiave di volta di gran parte del sistema turistico montano, malgrado tutte la retorica sul turismo alternativo. Mi sono trovato a dipanare, prima che scoppiassero un sacco di beghe, sia dal punto di vista legislativo (penso alla prima "cassa integrazione" nel settore in stagioni grame) sia dal punto di vista tecnico, compresa la comitologia comunitaria che si occupava di particolari tecnici da armonizzare in Europa per nulla banali.
Penso poi a questioni complesse, sempre verso l'Unione europea, tipo la delicata catalogazione di che cosa siano gli impianti a fune. A Bruxelles la classificazione del settore fra i sistemi di trasporto non ha mai convinto, mentre si è preferito - e non è stato un bene - considerarla infrastruttura turistica e come tale ben soggetta ai principi di concorrenza e dunque ai limiti, purtroppo vigenti, negli aiuti pubblici (si dice "di Stato"). Chi ancora ultimamente ha sbandierato una nuova definizione europea degli impianti, che sarebbero in generale inseriti nel comparto strutture sportive ha preso un abbaglio, trattandosi semmai di una nicchia ricavata solo in caso eccezionali, come gli impianti realizzati per le Olimpiadi di Torino. Certo ci vorrebbe una scelta definitiva e chiarificatrice, che concerne anche la materia delicata della mortalità degli impianti, su cui si sono avuti miglioramenti legislativi per allungare la vita tecnica degli impianti, ma anche in materia di bilancio, come la questione degli ammortamenti. La mazzata più recente al settore funiviario viene dalla sentenza della Corte suprema di Cassazione, che rischia di danneggiare le società che gestiscono gli impianti di risalita di tutta Italia, con l'unica eccezione di Trento e Bolzano che hanno competenze in materia fiscale che in Valle d'Aosta - basterebbe copiare! - nessuno insegue come sarebbe necessario. Mi riferisco a l'obbligo a pagare l'Imu (Imposta "municipale" che viene in realtà in parte drenata e da noi ancor di più dallo Stato). Sono cifre che variano dai 25mila euro all'anno per una seggiovia a sei posti ai 50mila per una telecabina a otto posti. Una botta per un settore già in crisi e che, nel caso valdostano, peggiorerà i conti già assai complicato di un settore davvero essenziale, che patirà dei soldi pubblici ridotti all'osso. Sarà difficile mantenere l'esistente e bisognerà proseguire quegli accorpamenti e razionalizzazioni che sono rimaste ancora in parte inespressi dopo una partenza a razzo. La sentenza che spaventa gli impiantisti è la numero 4541 del 21 gennaio 2015 e riguarda un ricorso dell'"Agenzia del Territorio - Agenzia delle entrate" contro la società "Funivia Arabba Marmolada - Sofma SpA", che farà giurisprudenza. La politica giustamente si mobilita e forse bisognava azionare prima le necessarie contromisure prima che la Cassazione decidesse. La scelta dei tempi - come dimostrato a suo tempo dall'Imu agricola in zona montana - costringe a degli inseguimenti dei problemi e il lieto fine non sempre è consolante. Va bene spegnere gli incendi, ma sarebbe utile evitare prima che scoppino. Comunque sia, va bene cogliere l'occasione per ritornare a discutere sul futuro del sistema degli impianti a fune come componente del turismo invernale, pensando - solo per fare un esempio - a come si potrà far fronte ai futuri, cospicui investimenti (parlo solo del mantenimento, ma ci sono anche progetti di allargamento dai costi colossali) in un periodo di finanze regionali magrissime. Giocare, come alcuni fanno, solo sull'ottimismo e su dati sempre in crescita che sprizzano salute da tutti i pori, magari serve a non disturbare il manovratore o a mantenere il cadreghino, ma è avvilente di fronte a criticità evidentissime. Non si può fare il boia e l'impiccato.