Penso che tocchi davvero all'Unione Europea, per avere un quadro omogeneo dei diritti del malato, occuparsi del tema delicato del fine vita con una legislazione comunitaria che consenta uniformità di comportamenti a vantaggio dei cittadini europei. Non mi riferisco solo al caso limite dell'eutanasia, che alcuni Paesi hanno già normato dimostrando che il tema non dev'essere un tabù, ma anche alla questione più semplice dell'interruzione di cure che possano diventare accanimento terapeutico su pazienti incoscienti che restano in vita come dei vegetali. Sappiamo bene che esiste già nella realtà una logica di ragionevolezza da parte dei medici, ma la logica del detto e non detto non consente di avere quel quadro di certezza di diritti e di doveri che tutela tutti nella chiarezza della Legge. Ho sempre detto ai miei cari che mai e poi mai vorrei restare in vita quando di vita non si tratti più e non esistesse nessuna ragionevole speranza scientifica di tornare ad avere una coscienza, considerando questa una mia scelta di libertà che non va scaricata su altri.
Avevo già raccontato il caso, finito nelle mani dei giudici a causa di dissidi fra i parenti del malato, di Vincent Lambert, un infermiere francese di trentanove anni, tetraplegico da sette anni, dopo un incidente stradale, e che si trova da allora in uno stato vegetativo ritenuto irreversibile. Il Consiglio di Stato francese, con una sentenza drammatica, aveva deciso, sulla base della "legge Leonetti", dal nome del deputato proponente, che si dovesse subito cessare l'accanimento terapeutico (dunque nessuna "eutanasia diretta"), sospendendo alimentazione e idratazione forzate. La volontà del Lambert di non restare in vita senza nessuna coscienza era stata chiarissima e anche a questo si erano richiamati i giudici francesi in linea, per altro, con i medici curanti che confermavano che si è di fronte davvero ad una caso grave e illogico di accanimento terapeutico. La Corte di Strasburgo ha ritenuto giorni fa (dopo una discussa "sospensiva", che aveva impedito un eventuale spostamento del Lambert in Belgio, dove il mantenimento forzoso in vita si sarebbe potuto interrompere) che "l'interpretazione data dal Consiglio di Stato della legislazione francese, la legge Lionetti, e la procedura seguita per arrivare alla decisione, condotta in maniera meticolosa, è compatibile con i requisiti imposti dall'articolo 2 della Convenzione europea dei diritti umani" che sancisce il diritto alla vita. Inoltre, nella sentenza data i giudici di Strasburgo rifiutano di definire l'interruzione dell'alimentazione e dell'idratazione come "eutanasia", qualificando invece l'atto come una decisione medica di interrompere un trattamento che il paziente non vuole più o che i dottori ritengono essere niente altro che accanimento terapeutico. Ora spetterà ai medici curanti, diversi dall'équipe che decise l'interruzione oggetto per anni del contendere, confermare o meno la fine della vita di Lambert, che non è solo oggetto di una lite familiare fra i pro e i contro (e i contro non tengono conto della volontà del malato, pur espressa verbalmente), ma pure protagonista inconsapevole di una battaglia ideologica di chi - con la logica della sacralità della vita sino a rinnegare la volontà personale - ostacola con l'uso strumentale del Diritto, cercando sempre una nuova Corte cui rivolgersi al limite dell'abuso, quel che la legge, come in Francia, ha già stabilito. Ha scritto Umberto Veronesi: "Oggi la decisione di come e quando prolungare l'assistenza è completamente nelle mani dei medici, mentre invece è diritto inalienabile di ogni cittadino decidere se iniziare o quando lasciare il trattamento di sostegno. [...] In passato c'era la paura di morire anzitempo. Oggi c'è quella di sopravvivere oltre il limite naturale della vita, in una condizione artificiale, priva di coscienza e di vita di relazione".