L'elaborazione del lutto, cioè il lento adattamento psicologico alla perdita di un congiunto, è già un processo delicato, ma dev'essere terribile quando capita che il corpo della persona non ci sia. Questo capitò con i dispersi in guerra nelle sanguinose battaglie della Prima Guerra Mondiale o nella terribile terribile ritirata di Russia nella Seconda Guerra Mondiale. Non esisteva neppure un feretro davanti al quale piangere o da inumare in una tomba. Ricordo la terribile prova di un amico della mia famiglia che mosse mari e monti per la scomparsa mai risolta della propria figlia durante un viaggio in India. Così è per i parenti di chi scompare in alta montagna, vittima di un incidente o del tempo ostile. Ci pensavo ad un anno dalla sparizione sul Monte Bianco della guida Ferdinando Rollando e del suo giovane cliente francese Jassim Mazouni, sedici anni. Partirono assieme dal "Rifugio Gonella" il mattino del 9 luglio 2014, purtroppo con maltempo in arrivo inadatto per raggiungere la vetta del Monte Bianco.
Le ricerche durarono qualche giorno e poi ci si dovette rassegnare alla loro morte, dopo giorni di bufera e nevicate che cancellarono ogni traccia della cordata. La montagna non ha ancora restituito i loro corpi e ciò potrebbe non avvenire mai, come mi hanno spiegato da alpinisti esperti, che conoscono la morfologia di quella zona e casi analoghi registratisi in passato. A me fa strano di non ricevere le telefonate di "Nando" con quel suo accento ligure e quella sua allegria di fondo: lo faceva periodicamente, quando rientrava in Valle, per raccontarmi delle sue avventure per "Alpistan", l'associazione in favore dei montanari dell'Afganistan che dirigeva con verve e il suo pizzico di follia, che gli aveva fatto rischiare la pelle con qualche estremista islamico e pure finire in qualche guaio con le occhiute autorità locali. Era così: genio e sregolatezza. A me sembrava, nel dargli dei consigli per contatti utili, di comportarmi come un buon padre di famiglia, a costo di essere ruvido rispetto a certi suoi voli pindarici. L'ultima volta, poco prima della tragedia, mi disse: «vado a fare un pezzo di stagione sul Bianco, poi passo a salutarti», ma su quelle montagne che amava moltissimo c'è rimasto. In questi giorni, la famiglia del suo cliente, che aveva un rapporto di amicizia con Rollando, ha lanciato alcune proposte nel nome e del ricordo del ragazzo. Ha scritto Alice Moreno su "Le Parisien": "Jassim aurait voulu être "l'homme le plus haut d'Europe". C'est ce qu'il avait dit à ses amis par sms le 9 juillet 2014, quelques heures avant sa disparition sur le Mont-Blanc. Ce jour-là, il a quitté le refuge italien de Gonella (3.071 m) à cinq heures du matin, accompagné de son guide italien, Ferdinando Rollando, disparu lui aussi. Ils ont profité d'une éclaircie pour partir alors que la météo était mauvaise depuis plusieurs jours. La gérante les a suivis du regard au début de leur ascension avant de les perdre de vue vers 7h30. Happés par un épais brouillard, les deux randonneurs ne sont jamais réapparus. Malgré des recherches en hélicoptère, leurs corps n'ont pas été retrouvés". Ecco poi il clima d'angoscia evocato all'inizio: "Un an après, les parents de Jassim ne peuvent oublier. Ils organisent une "randonnée hommage" sur les pas de leur fils. Un cortège de deux jours qui prend fin aujourd'hui. Hier soir, famille et amis étaient au refuge de Gonella, là où Jassim a passé sa dernière nuit, pour un lancer de lanternes. Deux statues à l'effigie du garçon ont également été érigées, une sur le versant français du Mont-Blanc, l'autre sur le versant italien, que Jassim avait emprunté. «Tout cela nous permet de survivre au choc, confie Samia Brahimi, la mère de Jassim. Mon fils était un grand sportif, il avait déjà fait l'ascension du mont Rose, il était en bonne condition physique pour ce nouveau défi». Elle ne comprend pas pourquoi le guide italien qui accompagnait son fils a décidé de quitter le refuge: «Il neigeait depuis une semaine, le terrain était mauvais, impraticable». Elle pense que son fils a chuté dans une crevasse, recouverte par la neige fraîche. La sœur de Jassim, quinze ans, devait elle aussi participer à l'expédition mais y a renoncé juste avant le départ. «Elle a fait un cauchemar, elle a senti qu'elle serait en danger. Elle en a parlé à son frère mais ça ne l'a pas découragé»". Infine la proposta concreta: "L'entourage de l'adolescent lancera en septembre l'Association Jassim, qui aura pour mission la prévention des risques des alpinistes. Samia Brahimi dénonce notamment l'insuffisance de signalétique en haute montagne. «Mon fils était avec un professionnel. Il lui a fait confiance. Mais s'il avait vu un drapeau noir indiquant que le terrain n'était pas favorable, il n'y serait jamais allé». La mère de famille dénonce le business de l'alpinisme sur le Mont-Blanc, qui prendrait parfois le pas sur le respect des règles de sécurité. «Pourquoi ça les gênerait de mettre en place une signalétique si ce n'est pas pour des considérations financières ?» lâche-t-elle. Les parents de Jassim veulent organiser une «table ronde qui réunira tous les acteurs de l'alpinisme, guides, élus, tours opérateurs»". Sgombrato il campo dall'idea di guide alpine pronte a tutto pur di guadagnare denaro (ricordando che sono professionisti sottoposti a una deontologia), l'idea di bandiere che indichino, in analogia con le bandiere esposte sulle spiagge per dire dello stato del mare, la situazione di praticabilità della montagna è davvero un'ingenuità. Un caso singolo di errore di valutazione non può diventare un fatto generale e quante bandiere andrebbero esposte per ogni zona, in situazione meteo che in montagna possono mutare con rapidità anche a poca distanza per situazioni locali? Esistono già sulle Alpi informazioni assai affidabili sulle condizioni del tempo e sullo stato delle montagne, cui conseguono pure chiusure eccezionali di determinati itinerari (com'è accaduto per la via francese al Bianco in questi giorni a causa di frane), che sono a disposizione di professionisti ed appassionati per pianificare le loro salite. Forse si possono migliorare ancora certi sistemi informativi e soprattutto i collegamenti, specie con le nuove tecnologie, ma il divieto, nella forma di una bandiera nera, non può essere la soluzione. Lo dico con rispetto per la famiglia del ragazzo, capendo lo strazio per la sua scomparsa e la voglia di fare qualcosa nel suo ricordo.