Sia chiaro: sul senso di ospitalità dei valdostani non bisogna deflettere, per cui è giusto accogliere con il dovuto riguardo il premier Matteo Renzi, che starà qualche giorno a Courmayeur per sciare con la sua famiglia. Questo naturalmente non vuol dire far venir meno la libertà di giudizio sul suo operato, che è quanto faccio qui da anni, ritenendo molte sue azioni e tanti suoi comportamenti sbagliati e nocivi, anche nei confronti dell'autonomia valdostana. Vale il vecchio detto "Dagli amici mi guardi Iddio, che dai nemici mi guardo io". Ancora sentendo la sua conferenza stampa di fine anno, non posso che confermare l'impressione di un progressivo suo distacco dalla realtà attraverso la creazione di un mondo autocelebrativo, fatto di successi e glorie, frutto di abile affabulazione, di marketing astuto e di un ambiente politico trasformato con rozzezza in un "teatrino dei pupi" fatto da amici e da nemici.
Questi ultimi sono in palese aumento e sono tutti quelli che osano criticarlo in qualche modo, finendo in fretta nel "girone dei cattivi". La mediazione non fa per lui e ormai accarezza sogni plebiscitari. Un suo slogan già chiarificatore, sin degli esordi fu: «Non lasceremo il futuro ai gufi». Questa storia dei "pennuti portasfiga" deve piacergli moltissimo, visto che sulle slide elettroniche per illustrare i successi governativi ha pure usato lo sfottò di mettere un gufetto stilizzato, elemento grafico di certo da lui approvato, se non suggerito, personalmente. Chissà se il politico fiorentino si è mai interessato all'origine e all'evoluzione della parola "gùfo", risalente all'inizio del secolo XIV, quando a Firenze si completava la costruzione di quel Palazzo della Signoria (o Palazzo Vecchio), dove sedeva il Renzi da sindaco. La parola - lo scrissi già tempo fa - è romanza di origine latina, anzi viene del latino tardo e dal termine "gufōne", che - con sottrazione del falso suffisso accrescitivo - diventa appunto "gufo". Nel latino classico era "būbo", in quello rustico si usava "būfo". E' chiara dunque l'origine imitativa dal verso del volatile e lo era anche nella tradizione indoeuropea, come dimostrano il greco "býas" e l'armeno "bu", che trovo meravigliosamente sintetico. Evidente che anche il francese "hibou" fa parte della stessa storia e ricorda quel verso che tutti almeno una volta imitato da bambino. La definizione "gufàggine" risale, invece, a metà Ottocento e va collegata ad una "persona di umore tetro", mentre "gufàre" - che piace di sicuro a Renzi nel più recente significato di "portare sfortuna" - arriva dal XV secolo e voleva dire "beffare soffiando nel pugno per imitare il gufo". Insomma, una presa in giro che si adopera verso una sfortunata categoria di esseri umani, i menagrami. Coloro che vengono accusati di portare sfortuna - e io ne ho conosciuti - sono persone a loro volta sfortunate, perché un pregiudizio di questo genere, finiti i sorrisi e i divertimenti alle loro spalle, finisce per trasformarle davvero in maschere grottesche, vittime come sono di dicerie e superstizioni che sono indegne del vivere civile. Siamo dunque di fronte ad un errore nella forma, verso pacifici uccelli notturni - ormai per altro protetti da norme comunitarie con siti appositi, presenti anche in Valle d'Aosta! - che si portano dietro secoli di superstizione, dovuti alle loro fattezze, alle espressioni del muso (specie gli occhi ipnotici), ai versi sinistri e forse anche al modo di volare. Ma lo è ancor di più nella sostanza: dire che qualcuno porti male non solo è una cattiveria, ma è anche un'evidente sciocchezza. Per cui è vero che "gufo" non è una parolaccia, ma nasconde una serie di pregiudizi e di credenze di cui si deve fare a meno, specie perché chi è a Palazzo Chigi deve a un certo punto evitare espressioni goliardiche che fanno divertire sul breve per poi diventare, se ripetute in eccesso, battute trite e ritrite. Assomigliano sempre di più alle vecchie barzellette di Silvio Berlusconi, che - a proposito di Fortuna - non gli hanno per nulla portato bene...