La Storia mi piace moltissimo e credo che sia un bene capirla sempre meglio, come avviene con una bussola che ci posiziona. Mi viene sempre in mente quel quadro di Paul Gauguin che si intitola significativamente "D'où venons-nous? Que sommes-nous? Où allons-nous?" ("Da dove veniamo? Che cosa siamo? Dove andiamo?"), un olio su tela che - dipinto in circostanze drammatiche, come la morte della figlia del pittore ed un suo tentato suicido nella difficoltà di finire la tela - rappresenta negli scenari tropicali di Tahiti, con simbolismo variamente interpretati dai critici, la Vita. Questo guardarci dentro è importante e vale come proiezioni verso il futuro, ma senza il passato come si potrebbe fare?
Il giornalista de "La Stampa", Piero Bianucci, in un articolo di qualche tempo fa, citava il lavoro di Guido Cossard - mio amico d'infanzia, quando militavamo nella "Jeunesse Valdôtaine" (lui era l'ala destra, io quella sinistra...) - che nella veste di archeoastronomo ha scritto, arricchito dalle fotografie di Enrico Romanzi e Celestino Vuillermoz, "I cieli della Valle d'Aosta", edito da "Priuli & Verlucca". Nell'elencazione dei prodigi del passato, che dimostrano quanto si guardasse di più al cielo di quanto si faccia oggi, il giornalista annota: «Un altro sito di notevole interesse è quello del Piccolo San Bernardo, dove Cossard segnala il cromlech più alto d'Europa: a duemila metri di quota si incontrano 46 menhir non molto alti - tra 22 e 50 centimetri - ma disposti lungo un cerchio dal diametro di ben 72 metri. Una "Stonehenge" in miniatura. Ce ne parla Petronio Arbitro (14-66 d.C.) nel suo "Satyricon": "Nelle Alpi vicine al cielo, nel luogo in cui, scostate dalla potenza divina di Graius, le rocce si vanno abbassando e si lasciano valicare, c'è un luogo sacro in cui si innalzano gli altari di Ercole: l'inverno li copre di una neve persistente e alza la sua testa bianca verso gli astri"». Poi lo stesso Bianucci ricorda altre scoperte straordinarie in quell'area di cui ho parlato giorni fa, dopo averla visitata, perché la conoscevo solo dalle carte, vale a dire la straordinaria area megalitica di Saint-Martin-de-Corléans ad Aosta. «L'area di Corléans vide levarsi palizzate, quaranta stele e dolmen. Un dolmen databile 2400 a.C. è orientato astronomicamente. Gli archeologi ricollegano tutto ciò alla ricerca dell’oro e forse al mito degli Argonauti e alla caccia al famoso "vello", che, tolti gli orpelli mitologici, altro non sarebbe se non una pelle di pecora adatta a filtrare in acqua corrente minuscole pepite. Ipotesi suggestiva, ma da prendere con beneficio d’inventario». Per muoverci nelle differenze si può sintetizzare che i "dolmen" (che in lingua bretone significa "tavole di pietra") sono costruzioni formate da due pietre verticali sormontate da una o più grosse lastre disposte orizzontalmente; in origine erano coperti da tumuli di terra o pietrisco. Poteva svolgere la funzione di sepolcro collettivo o di luoghi di culto. I "menhir" (che sempre in bretone significa "pietra lunga") sono costituiti da un unico blocco di pietra posto verticalmente sul suolo. Spesso i menhir erano organizzati in lunghissimi allineamenti composti di migliaia di queste pietre; avevano funzione di segnacolo tombale. Infine i "cromlech" ( in bretone significa "circoli di pietra") sono costruzioni circolari formate da pietre poste verticalmente sul terreno coperte da grandi lastre di pietra. A me questi misteri del passato piacciono moltissimo e sin da ragazzino, persino con incursioni con le improbabili teorie dello scrittore italiano Peter Kolosimo (inventore della "paleoufologia"), ho letto quanto si scriveva, sempre muovendosi a tentoni su certe epoche non avendo una macchina del tempo, almeno finora, che ci porti ad osservare di che cosa - nel caso di monumenti particolari - esattamente si trattasse. Così sono rimasto come un baccalà quando sono stato in Messico a visitare nello Yucatan il sito di Coba, scalando l'enorme piramide ed ascoltando da una brava guida le ricostruzioni sempre avvincenti di che cosa si suppone capitasse in questa città Maya (tipo un gioco precursore del calcio!) e lo stesso è valso, ma direttamente sulla spiaggia e non nel cuore della giungla, per quanto resta delle rovine di Tulum. Antiche civiltà diverse dalla nostra che si confrontano con le nostre antichità. In comune quel gioco fra passato, presente, futuro che è avvincente e pieno di zone d'ombra da illuminare.