Tocca essere espressivi per rendere molto materiali certi ragionamenti politici, altrimenti destinati a svolazzare troppo in alto - come palloncini colorati - e dunque difficilmente afferrabili, se non da poche persone simili ai personaggi sospesi nel cielo nei quadri di Magritte. Il modo di dire è noto, ma poco intellegibile perché faceva parte di una polemica, via libelli, che riguardava i Gesuiti: «fare come i pifferi di montagna, che andarono per suonare e furono suonati». Espressione assai colorita e che si presta a chiudere uno scambio polemico e che significa andare a far valere le proprie ragioni con baldanza o con intenzioni aggressive e tornare sconfitti. Verrebbe da usare per analogia un'espressione forse desueta, che usava mio padre, che è «con le pive nel sacco», spesso utilizzata in congiunzione con forme verbali predefinite come nelle frasi «ritornare, rimanere, ritirarsi con le pive nel sacco», è una polirematica che significa «con delusione e umiliazione per non aver ottenuto ciò che si voleva».
Qui l'origine - rinvenibile dal dizionario - è duplice, ma egualmente immaginifica: "Il detto deriverebbe dall'antica usanza militare ancora diffusa di suonare la tromba o la cornamusa durante le marce di trionfo dopo una vittoria. In caso di sconfitta l'esercito si ritirava invece in silenzio, senza suonare gli strumenti musicali che rimanevano chiusi negli appositi sacchetti di custodia oppure negli zaini dei soldati (nel sacco). Una seconda ipotesi vede invece l'origine del modo di dire in un'usanza tipica del periodo natalizio, quando gli zampognari girano per il paese suonando cornamuse, zampogne o ciaramelle per raccogliere denaro alle porte delle case. Anticamente si accettavano anche doni di altro tipo, come cibo e vestiti, che venivano riposti in un sacco di iuta. Se si ricevevano pochi doni, nel sacco semivuoto c'era abbastanza spazio per mettere anche le pive". Questa sempre essere oggi la cifra di molti rapporti politici in Valle d'Aosta e per la Valle d'Aosta, dove ogni spinta riformatrice rischia di essere incanalata nello status quo. Ho già visto all'opera incendiari giacobini che oggi sono straordinari reggicoda, vale a dire sono chi disposti ad assumersi gli incarichi più umilianti od a tenere le posizioni più indifendibili per ottenere i favori di una persona potente e importante. Da questo punto di vista sono purtroppo piuttosto giù di corda per i rapporti piuttosto sconcertanti con Roma. Non fosse per qualche "carota" nelle sentenze della Corte Costituzionale (l'ultima sul rientro dei capitali, che lo Stato ha cercato di scipparci) per ora i valdostani prendono solo gran bastonate. Consentitemi di dire, per esperienza, che raramente il livello è sceso così in basso. Personalmente sfottevo - ed è una delle ragioni della mia uscita dall'Union Valdôtaine - che esaltava gli accordi con il vecchio Silvio Berlusconi, che avrebbe dovuto ricoprire la Valle di oro, argento e mirra come un Re Magio ed oggi constato che con il giovane Matteo Renzi - che a differenza del "Berlusca", mai venuto nella nostra regione se non nelle convention di "Publitalia" a Saint-Vincent - da premier in Valle c'è venuto più volte, accolto come un munifico "califfo" di Baghdad, foriero di una "Mille e una notte" valdostana. Promesse molte, fatti pochi, lasciando male tanti pifferi di montagna e le loro lodi, giustificando tante pive chiuse nel sacco. Idem con l'Europa, evocata come ideale elevato e anche, più prosaicamente, come mammella da mungere. Ma la realtà è che la Valle d'Aosta cura pochissimo la politica comunitaria, ridotta a un lumino sulla tomba di iniziative e scelte, che hanno svalutato - solo per fare due esempi - il ruolo dell'Ufficio regionale di Bruxelles e "Europe Direct" di Aosta ormai poco più di una targa. L'Unione europea non è ormai un interlocutore per noi e lo dimostrano l'assenza di iniziative e una presenza marginale della politica valdostana in dossier fondamentali per il nostro futuro. Anche in chiave comunitaria: poveri pifferai bastonati e tristi le mute pive.