Ho seguito molti anni fa alla Camera le prime tappe della liberalizzazione del settore commerciale, cercando con appositi emendamenti di mantenere almeno un pezzettino della competenza regionale della Valle d'Aosta in materia. Difesa che nel tempo si è rivelata sempre più difficile, vista l'interpretazione assai rigida, anzi troppo rigida, dei principi di concorrenza, che l'Europa spinge al massimo e la Corte Costituzionale italiana si è ormai attenuta strettamente a questa impostazione. Già in passato ho ricordato la genesi di questa scelta di politica economica, che risale a un sacco di tempo fa. Nel 1973 la Gran Bretagna entrò nell'Unione europea sotto il premier conservatore Edward Heath. Un fatto storico, vista la vecchia storia - non esaurita neppure oggi - degli inglesi di sentirsi distantissimi da noi "continentali" e tra poco un referendum potrebbe persino sancire il distacco.
Ma chi ha davvero marcato, per gli anni ininterrotti di premierato (1979-1990), i rapporti con l'Europa è stata Margaret Thatcher, la "lady di ferro" che incise in profondità attraverso quel liberismo economico, che le sopravviverà, chiamato non a caso il "Thatcherismo". Capite la sostanza: un'euroscettica per definizione, nel suo impatto con l'Europa, riuscì a prendere prigionieri delle sue idee una buona parte del funzionariato europeo e persino un grande esponente europeista, Jacques Delors, sdoganò certe tendenze nel decennio da presidente della Commissione (1985-1995) anche in campo socialista. Si affermano così queste idee - diventate direttive e regolamenti - del Mercato retto da una mano invisibile, il mito della concorrenza come principio algido, gli "aiuti di Stato" come fantasmi sempre brutti e cattivi, le liberalizzazioni e le privatizzazioni come panacea contro gli eccessi del Welfare divenuto una piovra (e eccessi di certo ce ne sono stati e ci vogliono "mea culpa"), causa principale dell'indebitamento combattuto con regole cogenti del "Patto di stabilità" e di "Governance economica". Oggi alcune di queste certezze granitiche scricchiolano, ma intanto certe logiche a cascata hanno avuto effetti perversi, dovuti agli eccessi, come si vede da uno "Stato sociale" che perde pezzi anche in Valle d'Aosta, che erano considerati una volta non derogabili. Intendiamoci: la concorrenza serve e, con gli opportuni controlli veri e non fittizi, è un bene anche per il consumatore. Ma proprio il commercio liberalizzato ha avuto nella piccola Valle d'Aosta la conseguenza della fine di centinaia e centinaia di attività commerciali a vantaggio di una densità - pensiamo cosa avviene alle porte di Aosta - di grandi e medie distribuzioni (queste ultime gestiscono gli spazi, anche nel resto della Regione, in modo che chiamarle davvero "medie" fa sorridere), che cominciano tra l'altro a sentire esse stesse il peso di un eccesso di aperture. Oggi l'ultima corsa - che ha acceso una vivacissima discussione a Trento e Bolzano - è un eccesso negli orari (persino h24) e nei giorni di apertura, come le domeniche e i festivi, anche in questo caso con le grandi superfici commerciali che fanno da lepre rispetto agli altri negozi, che per non morire devono inseguire e se non ce la fanno ad adeguarsi per loro è "kaputt!". Il rischio, insomma, non è la giusta cura della concorrenza che obbliga a modernizzazioni ed a scelte imprenditoriali e fa da setaccio fra chi ce la fa e chi no, ma che gli eccessi portino alla desertificazione delle vie di Aosta e dei paesi (specie di montagna, laddove il turismo non salva) con file di negozi tristemente chiusi con conseguenze spettrali sull'ambiente urbano. Tema delicato che dovrebbe essere oggetto - e sudtirolesi e trentini ci provano con le norme di attuazione e tentando con legislazione propria sinora abbastanza contestate dallo Stato - di politiche mirate per salvare il salvabile o per ricostruire reti commerciali locali magari con l'uso - ad esempio con lo strumento presente nella legge nazionale sulla montagna ma mai davvero adoperato, anche per il mutare della fiscalità - di forme concrete di tassazione di favore. Ma con il rischio che l'Europa ci intravveda una forma mascherata di aiuto pubblico!