Non esiste di certo un rapporto causa e effetto - ci mancherebbe altro! - fra la decisione di Donald Trump di sospendere per tre mesi l'ingresso negli Stati Uniti per i cittadini di sette Paesi musulmani (Siria, Libia, Iran, Iraq, Somalia, Sudan e Yemen) e l'orrendo attentato compiuto da un giovane universitario che ha ucciso in una moschea nella civile città di Québec. Questo diktat trumpiano, già bloccato dalla Magistratura americana e che ha innescato persino le la defenestrazione di Sally Yates, ministra della Giustizia del Governo federale, vale anche per chi avesse già ricevuto - e si sa quanto sia difficile ottenerlo - il "visto d'ingresso" negli Stati Uniti e per questo viene vissuto come un vulnus pesante e sostenere che bisogna pazientare, trattandosi di una scelta passeggera, non sminuisce la portata politica del decreto presidenziale.
Certo la strage, che è avvenuta in un Paese da sempre ospitale come il Canada, è comunque figlia - anche se a compiere gli omicidi è stato assai probabilmente uno squilibrato - di un clima difficile, in cui il vero rischio è quello di fare di tutti gli islamici un solo fascio, senza distinguere chi delinque nel nome della sua religione e chi invece ha, anche nella società nordamericana, dato un contributo alla crescita con un fenomeno d'integrazione in una realtà che è multiculturale, al di là della discussione che ci può essere - e sono sempre pronto ad affrontarla - sul successo o meno del cosiddetto "melting pot", cioè il mito americano ormai svanito del modello di interazione tra le minoranze etniche e la società statunitense. Trump, che qualcuno pensava si addolcisse una volta entrato alla Casa Bianca, dimostra assoluta coerenza con quanto detto, per cui stupirsi di questa e altre decisioni choc dimostra solo una cosa: quando si vota bisogna fare attenzione alle conseguenze della propria scelta e non pensare che l'aria della campagna elettorale consenta sparate mirabolanti destinate poi a subire il silenziatore di quando si ricopre, post elezioni, un ruolo istituzionale. Valga come lezione anche per l'Italia. Il nuovo Presidente americano dice, a difesa del suo blocco e pure della contestuale decisione di andare avanti con il nuovo - perché una buona parte c'è già - muro con il Messico, qualcosa tipo «Guardate il caos in Europa» e in parte ha ragione. Nel senso che i flussi migratori in Europa oggi sono difatti regolati dalle Mafie che portano, o attraverso il Mediterraneo o in parte attraverso i Balcani, un numero crescente di migranti ed è difficile distinguere coloro che abbiano davvero diritto al sacrosanto principio dell'asilo ottenendo lo status di rifugiati perché perseguitati in qualche modo nel loro Paese d'origine, da quelli che sono invece immigrati "economici", cioè che lasciano la loro terra esclusivamente alla ricerca di nuove occasioni in Occidente. Nelle due categorie - questo ormai è assodato - per le difficoltà di identificazione e la mancanza di banche dati su chi abbia aderito alla "guerra santa" (jihad) contro di noi si insinuano terroristi pronti a colpire. Su questo fa leva Trump, anche se poi si vede con facilità che negli Stati Uniti hanno compiuto atti terroristici anche persone da tempo radicate nella società americana e semmai - come per le Torri Gemelle - è stata l'Intelligence americana a non capire per tempo quegli elementi raccolti in abbondanza che avrebbero consentito di fermare gli attentatori. E' vero che al mondo islamico largamente pacifico si può rimproverare il fatto di avere - nella sua versione popolare e non nei vertici - una sorta di acquiescenza nei confronti della parte violenta dell'Islam, personalmente non mi spiego bene la ragione, se sia fatta di paura, indolenza o purtroppo talvolta qualche velata simpatia, e su questo bisogna essere chiari perché i nostri valori di difesa della diversità confessionale prevede sempre e comunque che l'esercizio della libertà di religione si fermi sulla soglia della violenza. Altrimenti torneremmo alle furibonde guerre di religione, che hanno insanguinato e stanno insanguinando il mondo e noi cristiani, con quello che abbiamo combinato in Europa fra cattolici e protestanti non possiamo fare finta di non avere un passato, ma - per fortuna - è pur sempre un passato. Ma basta scorrere con il dito un mappamondo per vedere come in molte zone del mondo la violenza fra religioni (pensiamo alla scomparsa dei cristiani in Medio Oriente) non è acqua passata e ora - istigati dagli islamisti - rischiamo di generalizzare nella risposta e di dare fuoco alle polveri, specie se chi dev'essere statista, cioè mantenere la mente fredda e riflessiva, è il primo a cavalcare gli eventi come può fare un cowboy durante un rodeo. Quel che mi consola è la certezza che questo Occidente cui appartengo, che certo sull'immigrazione deve fare sistema per non essere travolto dagli eventi, ha oggi tutte le contromisure per evitare - in termini di Civiltà e di Diritto - il peggio e quello scenario che potrebbe dimostrarsi cupissimo.