Si discute di legge elettorale in Valle d'Aosta di questi tempi e la ragione è nota: la legge del 2007 ancora in vigore, che aveva funzionato nelle elezioni del 2008, non ha invece dato un buon esito nel 2013, creando una sorta di pareggio fra gli schieramenti alleati prima del voto. Accordi preventivi poi nei fatti disattesi nel corso della Legislatura, non rispettando così la volontà degli elettori. E questo, comunque si giri attorno al problema, non è mai positivo, anche se chi lo ha fatto già avuto - in certi casi - le migliori intenzioni. Anzitutto un po' di storia pregressa: le prime elezioni del Consiglio Valle avvennero il 24 aprile 1949 con un sistema elettorale che venne molto criticato prima e dopo il voto. Si trattava di un sistema maggioritario strong, con l'ottanta per cento dei 35 seggi destinati alla lista vincente e il restante venti per cento alla seconda lista; per gli altri nessuna rappresentanza. Il meccanismo stabilito consentiva inoltre il cosiddetto "panachage" tra le liste, ovvero la possibilità per l'elettore di dare la preferenza a candidati anche di schieramenti opposti.
Grazie al lavoro parlamentare di mio zio Séverin Caveri, allora deputato a Roma, in Valle d'Aosta nel 1963 si arrivò al voto con una nuova legge basata sul sistema proporzionale, come proposto per altro dal Consiglio Valle al Parlamento italiano in anni cruciali per le sorti dell'Autonomia valdostana. Questo dimostra - attenzione! - come fino al 1989 per quarant'anni, quale esempio di una visione centralista, spettasse allo Stato l'adozione della legge elettorale per la Valle d'Aosta come fossimo minus habentes. Penso in materia elettorale di avere avuto qualche merito con la mia attività parlamentare. Pochi lo ricordano, ma carta canta anche per certi smemorati, anche fra gli addetti ai lavori. Infatti solo una riforma costituzionale da me proposta consentì di portare questo potere a chi logicamente spettava. Il testo, scritto di mio pugno nello Statuto fu: "Il Consiglio della Valle è composto di trentacinque consiglieri, eletti a suffragio universale, uguale, diretto e segreto secondo le norme stabilite con legge regionale adottata con la maggioranza dei due terzi dei consiglieri assegnati". Questo portò alla nuova legge elettorale, finalmente scritta dai consiglieri espressione dei valdostani, approvata nel 1993, che riduceva da tre a due il numero delle preferenze e prevedeva, come soglia minima di accesso per l'assegnazione dei seggi, un trentacinquesimo (cioè un "seggio pieno") dei voti validi espressi. Nel 1997 vennero approvate tre modifiche nel sistema elettorale: si torna alle tre preferenze, viene introdotto uno sbarramento a "due seggi pieni", che sarà allora di 4.472 voti, ed è possibile l'apparentamento, per il cosiddetto "seggio walser". Poi - nell'epoca del nuovo regionalismo con riforme costituzionali - mi toccò di nuovo operare, lavoro appassionante e minuzioso, alla Camera dei deputati e buona parte del nuovo articolo 15 dello Statuto attuale con legge costituzionale del 2001 è mia opera, compresa la scelta che difendo di non optare tout court per l'elezione diretta del presidente della Regione per evitare derive cesaristiche (ma quelle "augustee" ci sono state lo stesso...). Da notare anche qui la scelta di usare "Consiglio della Valle", come originale espressione ormai radicata nella storia dell'ordinamento valdostano, di cui bisogna essere sempre degni. Ecco il testo, molto soppesato in lunghe discussioni parlamentari: "In armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e con l'osservanza di quanto disposto dal presente Titolo, la legge regionale, approvata con la maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati, determina la forma di governo della Regione e, specificatamente, le modalità di elezione del Consiglio della Valle, del presidente della Regione e degli assessori, i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con le predette cariche, i rapporti tra gli organi della Regione, la presentazione e l'approvazione della mozione motivata di sfiducia nei confronti del presidente della Regione, nonché l'esercizio del diritto di iniziativa popolare delle leggi regionali e del referendum regionale abrogativo, propositivo e consultivo. Al fine di conseguire l'equilibrio della rappresentanza dei sessi, la medesima legge promuove condizioni di parità per l'accesso alle consultazioni elettorali. L'approvazione della mozione di sfiducia nei confronti del presidente della Regione, se eletto a suffragio universale e diretto, nonché la rimozione, l'impedimento permanente, la morte o le dimissioni dello stesso comportano le dimissioni della Giunta e lo scioglimento del Consiglio regionale. In ogni caso, i medesimi effetti conseguono alle dimissioni contestuali della maggioranza dei componenti del Consiglio della Valle". Su questa legge il meccanismo democratico è complesso sull'insieme e su punti singoli, perché "il Governo della Repubblica può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro trenta giorni dalla sua pubblicazione. (...) La legge regionale di cui al secondo comma è sottoposta a referendum regionale, la cui disciplina è prevista da apposita legge regionale, qualora entro tre mesi dalla sua pubblicazione ne faccia richiesta un cinquantesimo degli elettori della Regione o un quinto dei componenti il Consiglio della Valle. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. Se la legge è stata approvata a maggioranza dei due terzi dei componenti il Consiglio della Valle, si fa luogo a referendum soltanto se, entro tre mesi dalla sua pubblicazione, la richiesta è sottoscritta da un quindicesimo degli aventi diritto al voto per l'elezione del Consiglio della Valle". Quorum scelti non a caso, come tutto il resto, ma che hanno la stessa ratio della prima norma con i due terzi del 1989: i contenuti della legge elettorale e del resto delle norme oggetto di questa particolare forma di legge detta "statutaria" vanno il più possibile condivise, sennò tocca al popolo decidere. Per questo "Mouv'" ha chiarito - e sono d'accordo - che deve essere il più possibile momento di sintesi comune, laddove possibile, fra maggioranza e opposizione e i voti necessari legati poi a meccanismi di consultazione popolare servono proprio a garantire questo principio. Per cui chi ha polemizzato su questo ha seri problemi. Come diceva Socrate: «E credere di sapere quello che non si sa non è veramente la più vergognosa forma di ignoranza?». Ora bisogna lavorare in fretta - per poter votare con una normativa nuova nel 2018 - sulla legge esistente, il cui impianto attuale, oltre ad aver confermato la soglia di sbarramento del 5,71 per cento (o meglio, i due trentacinquesimi) dei voti validi stabilì un premio di maggioranza per la coalizione di liste più votata, che ha dimostrato di essere fallace con certi numeri. Ora - fuori dai tecnicismi, di cui però non si può fare a meno - si tratta di capire che cosa sia il meglio e farlo in tempo utile per poter adoperare una nuova legge.