E' indubbio che l'Autonomia della Valle d'Aosta non sia il Federalismo. In quel sistema il patto federativo è una garanzia e, per quanto ci sia poi uno spazio di manovra che possa consentire alle autorità federali di rubare spazi, ciò può avvenire senza ottenere risultati distruttivi. Nel caso di un autonomismo in salsa regionalista, invece, essendo l'Autonomia "octroyée", cioè concessa, si può decidere - al momento voluto da Roma - di staccare la spina. Nel caso valdostano questo potrebbe avvenire con buona pace del fondamento politico di una logica pattizia. Si tratterebbe infatti di adoperare il procedimento di modifica costituzionale che potrebbe, lo si volesse e nel rispetto di una qual certa "resistenza" dovuta a norme più severe di quelle della legislazione ordinaria (articolo 138 della Costituzione), avvenire con una modifica del Titolo V in vigore. Con il clima ostile alle Speciali non ci vorrebbe un grande sforzo a cancellare e modificare quanto previsto dall'articolo 116 e dagli Statuti speciali ad esso collegato.
Giuridichese, direbbe qualcuno. Può darsi che queste questioni sembrino pane per i legulei, ma in realtà nelle norme giuridiche - che ci piaccia o no - ci sono le parti fondative dell'ordinamento valdostano, come costruito dal 1945 in poi, nel solco ovviamente di una storia autonomistica ben più antica. Ma ogni epoca ha le sue leggi e quelle in vigore hanno falle che possono risultare pericolose, specie in questi tempi in cui la specialità non paga, oggetto d'invidia e di incomprensione esterne e di errori interni di cui abbiano in Valle una serie ben visibile. L'avvicinarsi del 2018, data di elezioni Regionali e Politiche, andrebbe segnata sul calendario non solo per questa circostanza, ma semmai perché il nostro Statuto compirà settant'anni, un'età ormai veneranda, che dovrebbe servire - se non si faranno manifestazioni stucchevoli con convegnistica di circostanza e palcoscenico per alcuni noti già in azione "Cicero pro domo sua" - a capire dove siamo e dove vorremmo andare. Sapendo che dobbiamo fare i conti non solo su che cosa pensiamo noi dell'Autonomia, che sarebbe già un bene perché ora tengono più banco le liti e sembrano più importanti le nomine e magari certi affari in corso, ma quel che essa significa negli alti e bassi dei rapporti con Roma, tenendo conto anche di come lo Statuto sia cambiato e cambi ogni giorno, anche per il ruolo dell'Unione europea. Questa questione apre lo spazio a un esame di coscienza. Due punti oggi mi sembrano propedeutici all'anno di riflessione. Il primo è che noto una crescente sudditanza verso lo Stato. Intendiamoci: facciamo parte, che piaccia o meno, di una Repubblica e dunque che la Valle d'Aosta dialoghi con le autorità nazionali è nelle cose. Noto, però, come stia tornando una certa filosofia, ogni tanto apparsa nei decenni del dopoguerra, della politica del "cappello in mano", cioè un atteggiamento che non ho mai avuto nel mio lavoro parlamentare, che consiste per chi lo fa nell'andare a chiedere piaceri e comprensione. Mentre l'atteggiamento giusto, con garbo e educazione, è quello di far valere i propri diritti, cui naturalmente - non voglio essere equivocato - devono corrispondere credibilità da parte nostra e coscienza che ci sono anche dei doveri cui attenersi. Ma la logica della sudditanza politica e psicologica è quanto di più nocivo possa esistere, perché mina in profondità le nostre ragioni, che sono più forti se chi ci rappresenta dimostra sempre la schiena dritta e non pratica la genuflessione. E così spunta la seconda questione e la dico "pane e pane e vino al vino", parlando chiaro e spero che sia considerata una dote e non un difetto. Anche nel Vangelo c'è il monito «Il vostro linguaggio sia sì, sì, no, no». Esiste un problema di competenza, cioè avere cognizione delle cose che bisogna dire sulla base di una preparazione necessaria, perché questo è un metro su cui si viene sempre misurati. Se dimostri dimestichezza con le questioni che devi affrontare e sai come reagire alle possibili obiezioni, allora e solo in questo modo vieni considerato un interlocutore credibile, altrimenti quando esci da una stanza si sorride, se non si spernacchia. Questo è un tema serio, che non riguarda solo i rapporti esterni e cioè "la force de frappe" che si può mettere in campo nelle negoziazioni, ma riguarderà sempre più la capacità di agire a casa nostra sul futuro, evitando di vivacchiare alla giornata, come troppi fanno, come se non ci fosse un domani. E come se la Politica fosse solo un salto ad ostacoli fra un elezione e l'altra e l'Amministrazione fosse un autonoma in grado di funzionare da solo senza progetti e programmi da far avanzare nella quotidianità. Scrivo questo senza presunzione personale, perché ognuno ha i suoi difetti, ma con l'umiltà di avere ben capito certi meccanismi, che possono dispiacere a chi fa il contrario, ma che i valdostani almeno ragionino sugli esiti. E che sia un ammonimento quel che Émile Chanoux notava ai suoi tempi: «Et maintenant qu'est-elle la Vallée d'Aoste, si ce n'est un membre mort, un appendice de Turin ou de Rome? Un appendice sans intelligence et sans cœur. Privée de tout ce qu'il en était la partie vitale, privée de tout centre à elle, elle peut devenir incapable d'avoir une pensée à elle, un idéal à elle, un cœur à elle, capable de battre et de sentir, capable de souffrir et d'espérer». So bene che ogni epoca ha sue vicende, ma il passato, pur sotto forme diverse, può tornare. Diamo davvero per scontato che quelle circostanze non siamo ripetibili con le varianti dei tempi attuali? Per tutto questo ci vogliono serietà e dialogo fra persone credibili e responsabili, che non giochino con le circostanze e le formule e che soprattutto facciano parte davvero della famosa area autonomista per la loro storia personale e non ci siano finiti per altri scopi, talvolta davvero poco nobili.