E' sempre difficile capire dove andrà la democrazia. Se ci si guarda attorno non c'è da stare allegri: dal livello comunale su fino alle Nazioni Unite i meccanismi democratici paiono inceppati. Il futuro del mondo è in mano a personaggi come Donald Trump e Vladimir Putin, in Italia regna la confusione è peggio ancora potrebbero essere le decisioni capricciose di Beppe Grillo. L'Europa vivacchia senza linea e aspetta l'esito delle elezioni tedesche, il Regno Unito decide la "Brexit" ma poi ne allunga i tempi, in Francia si sceglie di governare con "ordonnances" ma gli "insoumis" non sono meglio, la Spagna nega il referendum alla Catalogna e mostra il volto feroce, dittatori governano ed insanguinano decine di Paesi e la povertà spinge una larga di umanità verso un Occidente in crisi.
Nel nostro minuscolo la democrazia valdostana è inceppata: da cinque anni si susseguono Governi diversi con avversari che diventano alleati e poi cambiano ancora. Intanto l'Autonomia speciale è soffocata dal venir meno di risorse economiche e poteri e competenze statutarie languono senza visione di lungo periodo con inchieste giudiziarie che sembrano bombe a orologeria. Un giorno o l'altro, se andrà avanti così, l'Autonomia speciale si estinguerà per sfinimento o più semplicemente da Roma si dirà: ragioni di buonsenso devono far cessare la specialità di fronte alla sua crisi interna e in nome di ragioni di omogeneità al ribasso. Sappiamo bene che molti pregiudizi rendono un peso ogni differenza istituzionale. Un processo facilitato se le cose non funzionano e le ragioni della difesa si indeboliscono. Mamma mia, ma che fine ha fatto il mio proverbiale ottimismo? Sono reduce dalla lettura di quanto mandatomi dal mio amico occitano Mariano Allocco: questo il suo amaro insieme di riflessioni, che vi propongo, sapendo che la lettura non è banale: «Nel 1922 Carl Schmitt definì il Sovrano "colui che decide in stato di eccezione", il termine ora indica provvedimenti eccezionali presi in periodi di crisi e che vanno compresi alla luce dell'antica massima secondo cui "necessitas legem non habet". Lo "stato di eccezione" nel secolo scorso accompagnò le derive che portarono ai totalitarismi. Non è un diritto speciale, è la sospensione più o meno modulata del diritto e ora si presenta sempre più come tecnica di governo attuata con l'estensione man mano crescente dei poteri dell'esecutivo attraverso l'emanazione di decreti e provvedimenti. L'esercizio di questa prerogativa erode necessariamente la democrazia, a Roma l'attività legislativa si fa sempre meno significativa, mentre sui monti il potere decisionale dei consigli comunali è ormai un simulacro di quello che era alcuni decenni fa. Lo "stato di eccezione" sta entrando nell'ordine giuridico partendo da un principio secondo cui la necessità caratterizza una situazione singolare in cui la legge perde la sua potenza e man mano la necessità sta costituendo il fondamento e la sorgente della legge imponendo lo "stato di eccezione". Il diritto non ammette lacune e se il giudice deve emettere un giudizio anche in presenza di vuoti legislativi, per estensione quando emerge una lacuna nel diritto pubblico il potere esecutivo ha l'obbligo di porre rimedio: è lo "stato di eccezione" che sta affermandosi. Leggi non scritte, quelle del mercato, stanno prevalendo sul diritto che reagisce di conseguenza, ma è in posizione di difesa denunciando la fragilità che caratterizza l'Occidente. Nello "stato di eccezione" la decisione sospende o sorpassa norme, ritualità, tempi e procedure che in democrazia sono sostanza. "Ciò che l'arca del potere contiene al suo centro è lo "stato di eccezione" (Giorgio Agamben, "Stato di eccezione", Bollati Boringhieri, 2003), ed è una macchina che ha funzionato attraverso fascismo, nazionalsocialismo e regimi comunisti giungendo fino a noi in modo ovattato, ma efficace". "In tempo di crisi,il governo costituzionale deve essere alterato in qualsiasi misura sia necessaria per neutralizzare il pericolo e restaurare la situazione normale... il governo avrà più potere e i cittadini meno diritti... la democrazia è figlia della pace e non può vivere senza la madre" (C.L. Rossiter, "Constitutional Dictatorship", Princeton, NJ, 1948) , parole scritte nell'immediato dopoguerra, ma sempre attuali ora che lo stato belligerante non è detto sia cruento. Brevi riflessioni su una questione che si è prepotentemente riaffacciata in Europa governata da un impianto istituzionale fragile, sotto attacco da parte del mercato e dove Destra e Sinistra sono evaporate sul piano ideologico. Nuove aggregazioni stanno costituendosi in un Occidente caratterizzato da una fragilità che è stata evidente dopo l'11 settembre 2001. Ecco perché occorre al più presto mettere mano all'impianto istituzionale alpino e a farlo devono essere i cittadini delle valli (definirsi cittadino e montanaro sta diventando un ossimoro, ma questa è un'altra storia). Se non saremo in grado o capaci di farlo si deciderà al "centro" e lì su questi temi si procede in "stato di eccezione". Anche quanto sta succedendo in Catalogna ha queste caratteristiche e Madrid alla richiesta di autodeterminazione risponde di fatto con lo "stato d'eccezione"». Concordo: la crisi economica, la minaccia islamista e quella criminale, la rapidità di un mondo digitale, la partecipazione calante, un crescente analfabetismo di ritorno ingenerano questa assuefazione alla eccezionalità fatta di decisioni d'imperio non più mediate dagli ordini strumenti democratici. Un quadro cupo ma per fortuna non irreversibile. Nell'oscurità vedo molte luci di speranza, perché sono le difficoltà che permettono le reazioni migliori.