«Possiamo ancora vedere la luce di stelle che non esistono più da secoli. Così ancora ti riempie e folgora il ricordo di qualcuno che hai amato per poi vederlo andar via». Così Khalil Gibran si occupava delle persone scomparse, cui è tradizionalmente dedicata la giornata odierna. La trovo una frase molto bella: al di là di chi potrà lasciare una traccia nella Storia per quello che ha fatto, è importante che il ricordo di chi non c'è più sua occasione per fare tornare le persone che ci hanno lasciato in mezzo a noi. Per cui - con franchezza - bisognerebbe smettere in certe celebrazioni, come quella odierna, la sola veste luttuosa, che pure ci sta, e poter evocare alla nostra memoria quanto di bello ci hanno lasciato, ammesso che la memoria sia positiva è non cupa.
Scrive sul 2 Novembre - per chi concentra l'evocazione in un solo giorno e non nella quotidianità - don Marcello Stanzione su santiebeati.it: «La commemorazione dei fedeli defunti appare già nel secolo IX, in continuità con l'uso monastico del secolo VII di consacrare un giorno completo alla preghiera per tutti i defunti. Amalario, nel secolo IX, poneva già la memoria di tutti i defunti successivamente a quelli dei santi che erano già in cielo. E' solo con l'abate benedettino sant'Odilone di Cluny che questa data del 2 novembre fu dedicata alla commemorazione di tutti i fedeli defunti, per i quali già sant'Agostino lodava la consuetudine di pregare anche al di fuori dei loro anniversari, proprio perché non fossero trascurati quelli senza suffragio». Così viene approfondita la storia dell'intuizione di questo abate Odilone: «Si dice che uno dei suoi confratelli, di ritorno dalla Terra Santa, gli raccontò di essere stato scaraventato da una tempesta sulla costa della Sicilia; lì incontrò un eremita, il quale gli raccontò che spesso aveva udito le grida e le voci dolenti delle anime purganti provenienti da una grotta insieme a quelle dei demoni che gridavano contro lui, l'abate Odilone. Costui, all'udire queste parole, ordinò a tutti i monaci del suo Ordine cluniacense di fissare il 2 Novembre come giorno solenne per la commemorazione dei defunti. Era l'anno 928 d. C. Da allora, quindi, ogni anno la "festa" dei morti viene celebrata in questo giorno». Ma in realtà tutto si innesta su questioni ben più profonde che riguarda noi esseri umani e quel culto dei morti che - secondo il celebre studioso, Julien Ries, diventato Cardinale in tarda età - darebbe conto di un homo religiosus, che come tale si porrebbe sin dai primordi della consapevolezza di essere umano. Con franchezza non ho le conoscenze e neppure l'autorevolezza in questa materia, che sarebbe l'antropologia religiosa. Certo tutto affonda in quella quotidianità della morte che l'uomo ha vissuto come tale a partire da quegli ominidi che si aggiravano sin due milioni e mezzo di anni fa sono all'affermazione 200mila anni fa dell'Homo sapiens. Le religioni più antiche valorizzano la morte e il percorso che si immagina venga intrapreso dopo la vita. Ne sono testimonianza in Valle d'Aosta, a partire dal sito archeologico di Saint-Martin-de-Corlèans, che inizia ad essere costruito alla fine del V millennio a.C. sino ai morti che finiscono oggi nei cimiteri o con le ceneri sparse dove si vuole, tutti i tipi di sepolture e le diverse forme di credenza e di devozione che si sono sovrapposte dal Neolitico sino ai giorni nostri. Io penso che tutto aiuti ad alimentare la speranza del dopo di noi, che corrobora le fedi verso un aldilà, che muta a seconda delle religioni con diversi modi di vedere la premialità del Bene e del Male e il futuro che verrà per chi ci lascia e certo per noi stessi.