Qui a fianco pubblico ormai da alcuni anni quanto scrivo sul mio profilo "Twitter", il famoso social network che - nato nel 2006 - conta oggi più di duecento milioni di utenti. Si possono scrivere brevi messaggi (anche con foto), commentare quelli degli altri e ri-twittare quel che si considera meritevole. Oggi - con la sua appendice che consente filmati in diretta - è stato in molte occasioni lo strumento con cui si sono diffuse per prime delle notizie importanti, che si possono seguire con la tecnica nota come "hashtag", cioè un aggregatore tematico che consente di trovare in fretta cosa si scrive su di un certo tema. Si ottengono delle persone che ti seguono ("Follower") e tu stesso puoi seguire altri non obbligati alla vicendevolezza ("Following").
E' una modalità di interazione che mi diverte molto, che ha fruttato degli scambi interessanti e persino ha fatto nascere delle amicizie (e cementato inimicizie, ma chi ti disturba può essere escluso o meglio "bannato"). "Twitter" e ciascuno dei suoi utenti, me compreso, combatte con la diffusione di profili farlocchi, creati in automatico, per cui tocca ogni tanto fare pulizia. E' di questi giorni, dopo un periodo di sperimentazione e tante polemiche sulla scelta, un cambio epocale nei "cinguettii". Si è passati dalla scrittura limitata a 140 caratteri ad un loro raddoppio a 280. Si tratta probabilmente di una scelta per rendere più appetibile "Twitter", che combatte per sopravvivere e proprio di questi tempi sta uscendo da una crisi di iscrizioni e pure di utili, sapendo che - a parte la concorrenza per me più palpabile di "Facebook" e di "Instagram" - nascono ogni giorno nuovi media di questo genere ed a morire, se incalzati da novità, nel mondo dei "social" ci si mette poco. Il gusto degli utenti può cambiare in un batter d'occhio, seguendo una proposta più innovativa e una moda nuova che si manifesta. Fosse stato per me avrei mantenuto i 140 caratteri, perché starci dentro è sempre stato per me un esercizio salutare, perché sfrondare per giungere all'essenziale è in un'operazione di dimagrimento di un testo troppo lungo che stimola il cervello, che va tenuto in esercizio anche in questo modo. Questa storia della sintesi mi ha sempre accompagnato nelle mie attività. Chiunque faccia il giornalista deve fare i conti con lo spazio o con il tempo. Nelle mie esperienze di scrittura stare nelle battute a disposizione era già istruttivo per andare al sodo, ma per un giornalista radiotelevisivo questo è sempre stato un principio basilare, specie per i contributi per le testate nazionali. Ricordo bene, anche di fronte ad avvenimenti significativi che nel telegiornale o giornale radio locale potevano godere di tutto il tempo, quanto fosse stimolante realizzare un minuto per il "TG1" o cinquanta secondi per il "GR2". E' qualche cosa che poi ti resta dentro anche quando fai trasmissioni radiofoniche da un'ora, ma l'abitudine ad essere rapido e incalzante finisce per essere un tocco che ti accompagnerà per sempre. Per altro è indubbio di come tutto sia più veloce di un tempo. Quando cominciai a farmi le ossa nelle radio private, ormai una quarantina di anni fa, gli spot pubblicitari potevano durare anche più di un minuto, oggi ci sono annunci di pochi secondi e lo stesso vale per la televisione. Inutile piangere sul latte versato, perché questa è ormai una tendenza irreversibile. Lo stesso vale, naturalmente, per la politica. Un tempo un bel discorso in pubblico poteva non avere limiti: esisteva un'abitudine all'ascolto che poteva consentire ad un oratore che fosse avvincente nel suo intervento di tenere il pubblico per molto tempo. Oggi, a parte i maledetti telefonini che consentono a chi è in sala di farsi i fatti propri e già questa muta la sostanza di certe manifestazioni, la capacità di concentrazione per seguire chi parli in pubblico è molto limitata. Devo dire, da questo punto di vista, di essere stato fortunato durante la mia carriera politica. Già capitava, in certe dichiarazioni di voto importanti alla Camera dei deputati, di trovarsi con due o tre minuti a disposizione nel contingentamento dei tempi, ma al Parlamento europeo mi capitò di avere a disposizione una quarantina di secondi, tra l'altro scanditi da un implacabile contaminuti in aula. Anche in questo caso prendi facilmente la misura, specie se impari a parlare a braccio e senza l'assillo terribile del foglietto con il discorsetto e ti resta poi appiccicato come una colla questa capacità di essere in grado di venire rapidissimamente al punto. Questa ginnastica evocata, verbale e scritta, sta invadendo le nostre vite proprio attraverso i social, come si vede anche da "WhatsApp", che ci assilla con i suoi debordanti gruppi!