E' triste constatarlo, ma la verità è che l'uso del Web - che ti permette di scartabellare in una specie di "Zibaldone" autoprodotto, saltando di palo in frasca - mi rende meno concentrato sulla lettura, rispetto a quanto avveniva in passato. Per cui devo essere più disciplinato per la lettura dei libri per evitare di piombare in una sorta di analfabetismo di ritorno. Per cui mi capita di scaricare sul mio e-reader qualche volume che poi, inghiottito da altri acquisti, langue sul mio dispositivo. E' il caso di un autore che mi piace molto e che ho avuto occasione di conoscere di persona, durante una presentazione di un suo romanzo. Mi riferisco allo scrittore torinese Alessandro Perissinotto, autore di "noir" (o, se preferite, "polizieschi"), ma anche di saggi su Internet e multimedialità, che derivano dal lavoro di docente universitario.
Si trattava de "La colpa dei padri", romanzo ambientato a Torino, ricordando la crisi dell'industria e la delocalizzazione delle imprese (e incombe, a conclusione del libro, l'ormai evidente addio al Piemonte della "Fiat") con rimandi agli anni Settanta con i drammi del terrorismo di "Brigate Rosse" e di altre sigle. Io una piccola parte di quegli anni l'ho vissuta, anche per via di alcuni amici che militavano nell'area di Autonomia e poi, proprio agli esordi della mia carriera giornalistica, ho lavorato nel capoluogo torinese. In quella occasione, con Perissinotto, guardammo anche ad altri suoi libri, come "Semina il vento" sui problemi dell'integrazione multiculturale in area alpina o "Per vendetta", ambientato nell'Argentina ancora scossa dai ricordi delle tragedie della dittatura (con un passaggio riguardante un incidente in montagna ambientato in Valle d'Aosta). Annoto ricordi divertenti, come quelli derivanti dal libro "Ti ricordi?", fatto di evocazione dei suoi soggiorni da bambino in Val di Lanzo, vallata alpina francoprovenzale. In un "abbecedario della memoria", descritto in alcuni punti dallo scrittore, in cui si descrivono luoghi, situazioni e personaggi, che potrebbero vivere in qualunque punto delle Alpi. Questa volta ho divorato - in una domenica uggiosa, più autunnale che premessa alla primavera - un romanzo dello scorso anno "Quello che l'acqua nasconde", ambientato anch'esso prevalentemente a Torino, città che - da valdostano che ama la nostra storia sabauda, nei rapporti avuti fra alti e bassi con Casa Savoia - trovo sia sempre per noi "alpini" un riferimento... subalpino immancabile. Anche questa volta Perissinotto ricostruisce una storia fra realtà e fantasia letteraria che lascia inchiodati alle pagine con un racconto, che fa la spola fra presente e flashback, in quella Torino grigia di quarant'anni fa, quando gli "anni di piombo" indicavano una violenza terribile di quelli che al tempo, con superficialità, vennero chiamati da una parte di Sinistra che non voleva vedere «compagni che sbagliano». Oggi non se ne ha più un ricordo esatto ed è un peccato, proprio perché certe violenze di estremismi attuali, da una parte e dall'altra, troverebbero negli episodi luttuosi di allora un ammaestramento che inviterebbe ad evitare eccessi. Alle autorità spettano vigilanza e repressione, perché il salto di qualità verso il baratro dell'assassinio incombe sempre. Così come nel libro appare la tragedia dei profughi istriani, cacciati dalla Jugoslavia in una diaspora dolorosa, che pure si manifestò nella nostra piccola Valle. Le vicende che si intrecciano, dimostrando comunque come le storie personali di ciascuno di noi siano sempre in un precario equilibrio dettato non solo dal destino ma anche dalle proprie scelte, colpiscono molto e hanno come sfondo fatti storici e ciò vale per le terribili vicende dei manicomi piemontesi, dove - prima della "riforma Basaglia", rimasta per altro incompiuta - si perpetravano violenze inaudite e ributtanti, come l'uso spietato di torture e elettroshock, su pazienti spesso diventati spesso "matti" solo perché vittime di macchinazioni familiari o di superficialità nelle diagnosi. Compreso quell'enorme manicomio che fu Collegno, dove finivano anche i valdostani. Ci si domanda a un certo punto, quando si evoca quel moto di ribellione civile e politica contro l'uso criminale dei manicomi (con la citazione di Pier Paolo Pasolini davvero presente a Torino), se oggi sarebbe davvero possibile una tensione morale analoga a quella che allora si registrò. Anche questa volta figura un personaggio di fantasia valdostano, il walser gressonaro Arrigo Squinobal, ex terrorista finito a fare il dentista a Dublino, dove il terrorismo aveva assunto coloriture sue nell'intricata questione nordirlandese. Quegli anni ricostruiti con una moviola che torna al passato - lo ripeto - non sono solo indispensabili per colorare la trama del libro, ma sono elemento storico vivente, che ammonisce sul presente. E anche sul fatto sconcertante che terroristi di allora oggi sproloquino in pubblico (un amico mi ha fatto vedere certo esibizionismo su "Facebook") e talvolta si atteggino da maîtres à penser e persino da antagonisti dello Stato. In certi casi a fronte di nessun pentimento, sarebbe stato meglio gettare la chiave.