Ho sempre detto come il "politicamente corretto" non significhi affatto, stravolgendone l'uso, esaminare avvenimenti e problemi con schemi imposti o preconfezionati che diano un risultato automatico. Bisogna sempre preservare uno spazio critico fatto di razionalità e va mantenuta una sfera pubblica in cui sia ancora possibile discutere differenti interpretazioni della realtà. Non bisogna essere obbligati a mettersi in uniforme in riga per due, adeguandosi ad una sorta di "pensiero unico", mentre va sempre salvaguardato il frutto dei propri ragionamenti. Questo vale per piccole cose quotidiane, ma anche per le grande questioni che ci capitano fra capo e collo. Il caso odierno è la lenta ma costante logica di irregimentazione nel rapporto antico se non primordiale fra il mondo umano e quello animale, nel verso appunto del "politically correct".
Nel senso che, tolta di mezzo quella parte violenta del mondo animalista che sfocia persino in azioni dallo stampo paramilitare, restano delle questioni che stento a capire in una sorta di movimento contrario persino alla parte più condivisibile dell'umanesimo e cioè della considerazione della persona umana. Con mio papà, veterinario di montagna, ho sempre frequentato due mondi diversi. Uno, a carattere domestico, riguardava la visita nell'ambulatorio dentro casa di cani e gatti. Animali che avevo anch'io e che ho sempre amato profondamente e che hanno inciso nella mia vita. Eppure, non so se riesco a spiegarmi, erano cani e gatti e non una caricatura umana, come oggi si pretende di fare da parte di molti con uno stravolgimento della realtà. Lo si vede in giro come troppi non effettuino più distinguo: non a caso una pubblicità martellante e servizi vari "umanizzano" gli animali da compagnia dai cibi persino light all'assistenza psicologica, da sofisticate tecniche diagnostiche a piscine per il benessere, da vestitini invernali a giochi degni di bambini. L'altro mondo è quello contadino: il rispetto per i propri animali non significava mai sottostimarne l'uso utilitaristico, come risorsa economica e prima ancora come elemento di sussistenza nella logica rurale del passato. Capisco che scelte come la macellazione e pure la mungitura sono impensabili per un vegano, così come per chi è integralista non è normale l'"uso" in campagna degli allevamenti di galline o conigli. Oggi la soglia di sopportazione di chi estremizza si spinge molto in là e non riguarda solo la legittima preoccupazione rispetto a certi allevamenti intensivi, che certo vanno condannati quando metodi di allevamento e uso di sostanza come gli antibiotici si spingono su terreni inaccettabili per quel caposaldo che le norme europee chiamano "benessere animale". Non mi infilo poi sul terreno minato della sperimentazione con l'uso di animali: ricordo solo che il mondo scientifico, con persone molte autorevoli, ricorda come al momento certi test effettuati non siano sostituibili. Ma capisco che anche su questo lo scontro non è più sui fatti ma si tinge di ideologia. Lo si vede altrettanto bene riguarda alla caccia, dove pare non esistere una zona grigia di dialogo e anche all'aspetto ormai paradigmatico del ritorno di predatori scomparsi sulle Alpi, come l'orso e il lupo. Animali che sono considerati da alcuni intoccabili e da altri da sottoporre a elemento di vigilanza senza escludere, laddove necessario, abbattimenti, come avviene in altri Paesi nella considerazione che certi animali possono rappresentare pericolo per le persone (orsi) e per le attività tradizionali come l'allevamento (lupi). In assenza, tra l'altro, di competitori in natura che non siano l'uomo. Pesa su queste vicende, come dicevo esemplari, una visione del mondo animale che stento ormai a capire, che vive l'uomo come elemento pericoloso e estraneo per partito preso alle dinamiche naturali. Ci dovrebbe far riflettere il fatto che nell'Appennino, dove ha colpito il terremoto, molta parte della ricostruzione è stata arrestata, se non processata, per via del fatto che larga parte di quelle montagne - compresi grandi centri abitati - sono stati inseriti in Parchi nazionali. Parchi che sono diventati i veri padroni del territorio, accentuando lo spopolamento per i vincoli che sono stati imposti. Non si tratta - sia chiaro - di favorire forme di speculazione di nessun genere, ma certe logiche - manu militari - che considerano l'uomo come un elemento "inquinante" non si sa francamente dove possano portare, se non alla desertificazione di montagne forgiate nei millenni dalla presenza di montanari e non luoghi selvaggi senza di loro. Non c'è un ritorno ad un mitico stato di natura. Ciò deriva anche e sempre di più dall'idea di un mondo animale "buono", favolistico e disneyano, contrapposto alla "cattiveria" di un uomo cinico e sfruttatore. E' uno stereotipo ridicolo nel suo assunto e non mi dilungo su che cosa scrivano gli etologi delle lotte nel mondo animale e anche fra le stesse specie, che smontano - non solo nella logica della catena alimentare - questa idea buonista di animali con intelligenza umana, che cooperano fra di loro in una sorta di Eden turbato da noi esseri umani. Si potrà fermare questa emorragia di buonsenso?