Vien voglia di partire - come location - da un tavolo di osteria o dal divano di una discoteca o dal bancone di un palchetto, in uno di quei déjà-vu che molti di noi hanno in mente. La vita è fatta di flash che tornano alla memoria in determinate circostanze. La "ciucca triste" - per entrare nel soggetto, prendendolo da distante - è uno stato d'animo. Mi è capitato di sopportare amici o amiche disperatamente precipitati nei loro bicchieri di alcol. Il gioco delle parti sta nel tentativo di farli risalire dal precipizio con aspetti consolatori, ma appena credi di esserci riuscito ti accorgi di come ripiombino con destrezza nel loro spleen. Lo diceva persino Sigmund Freud: «Sotto l'effetto dell'alcol l'adulto ritorna un bambino, che prova il piacere di pensare liberamente come vuole senza dover fare attenzione alla costrizione della logica». Per cui ci sta anche il piagnisteo.
Ebbene: a costo di farmi qualche nemico (che mai mi offrirà da bere...) trovo che ci siano persone di area autonomista storica che sono in fase "ciucca triste". Il loro stordimento demoralizzato deriva dalle delusioni patite negli anni trascorsi. Da quelle vicende tribolare che hanno sortito dispiaceri, rivalità e soprattutto speranze deluse rispetto a chi aveva promesso grandi cambiamenti, come se fosse un canto corale accorato, come sappiamo fare sulle nostre montagne. Per poi, oltretutto nel silenzio, distinguersi per incoerenti e repentini cambiamenti di posizione politica grazie alla logica dei ténor, come i francesi chiamano certi big politici. Questi rivolgimenti, che hanno dei fil rouge che piano piano si sveleranno, hanno scioccato chi aveva investito molto in speranza, lasciando interdetti e vittima persino di sfottò quelli che avevano compartecipato. Scriveva una persona difficile ma acutissima, come la giornalista Oriana Fallaci: «Niente ferisce, avvelena, ammala, quanto la delusione. Perché la delusione è un dolore che deriva sempre da una speranza svanita, una sconfitta che nasce sempre da una fiducia tradita cioè dal voltafaccia di qualcuno o qualcosa in cui credevamo. Ed a subirla ti senti ingannato, beffato, umiliato. La vittima d'una ingiustizia che non t'aspettavi, d'un fallimento che non meritavi. Ti senti anche offeso, ridicolo, sicché a volte cerchi la vendetta. Scelta che può dare un po' di sollievo, ammettiamolo, ma che di rado s'accompagna alla gioia e che spesso costa più del perdono». La vendetta, in politica, può tradursi per i cittadini elettori in due forme: non andare a votare (o usare la scheda in bianco od annullarla e pare che gli improperi nelle urne non mancassero alle ultime Politiche) oppure votare con la pancia o meglio con gli intestini per infliggere una punizione. Un modo per sfogarsi, come moto di ribellione. Ho incontrato chi lo ha fatto e si trova talvolta in quello stato di "ciucca triste" che alterna depressione e ilarità per la scelta fatta. Non so mai bene come fare, perché - essendo stato compartecipe di molte delusioni - sarei tentato anch'io di imboccare la strada del calice più o amaro. Ma ha senso? Oppure la razione dev'essere di testa, cercando nel mondo autonomista le ragioni di coerenza e di impegno come risposta, al posto di librarsi in voli pericolosi. Facendo attenzione a chi, da estrema destra e da estrema sinistra, usa il rozzo disprezzo politico nel nome di ideologie fallimentari, dipinte come piene di speranze, dopo avere insanguinato il mondo. Utopie apparentemente allettanti che hanno generato odio e dittature e con esponenti locali che si permettono - non si sa con quali titoli di merito, se non sicumera autoprodotta - di dare pagelle agli altri, illudendo le persone stranite, perché prese giustamente dallo sconforto! Ma le strade da prendere vanno sempre valutate, senza farsi prendere dall'emotività. Non so bene, insomma, come si debba reagire, se non invitare - se ci si riuscirà - a ritrovare uno stato di lucida sobrietà. Ciò dovrebbe consentire di evitare che della piccola nave dell'Autonomia valdostana si occupino pirati che hanno già dato cattiva prova di loro e della curatela dei nostri tesori, così come capitani improvvisati, che conducano la barca verso il naufragio definitivo.