Da quando sono grandicello assisto ad una battaglia campale, anzi ad una guerra degna di quella "dei Cent'anni", che riguarda una parola brutta, ma largamente adoperata. Si tratta di "sburocratizzazione", derivata della ben più nota e datata "burocrazia", fotografata in poche righe dalla sapienza della "Treccani": "L'insieme di apparati e di persone al quale è affidata, a diversi livelli, l'amministrazione di uno Stato o anche di enti non statali. Sebbene si possano ritrovare elementi significativi di amministrazione burocratica in epoche remote e all'interno di svariate civiltà (antico Egitto, Impero cinese, Persia e India, Impero romano e bizantino) nella sua forma più compiuta, la burocrazia è un prodotto del processo di formazione dello Stato, iniziato in Europa nel 16esimo secolo e costituisce la risposta all'esigenza del sovrano di fondare il proprio potere su un ceto di funzionari alle sue dirette dipendenze. Il termine burocrazia fu coniato dall'economista francese Vincent de Gournay nella prima metà del 18esimo secolo proprio per stigmatizzare la potenza crescente dei funzionari pubblici nella vita politica e sociale, che configurava una vera e propria forma di "governo dei funzionari", fra l'altro del tutto inefficiente sul piano dell'amministrazione dello Stato. Negli usi successivi il termine ha in parte mantenuto questa originaria accezione negativa. Nello stesso tempo, tuttavia, la nozione di burocrazia è diventata una categoria cruciale delle scienze storiche, politiche e sociali".
Per i cittadini che si interfacciano con la burocrazia, ma anche per i politici che si trovano a governarla, la speranza - dal Settecento in poi, quindi non proprio dall'altro ieri - è che ogni rapporto con chi fa il burocrate (dal francese "bureau, ufficio" e da "-crazia", cioè "potere degli uffici") diventi sempre più amichevole e contrario a quella logica del "complicatore affari semplici" che denotiamo specie, quando in coda, si trova lo sportellista zelante che almanacca tendendo all'infinito. Anche io, nel mio piccolo, ci ho provato sia a Roma, in una breve esperienza governativa e in una lunga parlamentare, ma anche in Valle nei ruoli da presidente della Regione in giù. Ci ho provato anche a Bruxelles, quando mi occupavo - da presidente di Commissione - della "Politica Regionale", dunque di molti fondi strutturali. La semplificazione delle carte e delle procedure era un vero cruccio che l'Unione europea sembrava prendere sul serio. Ebbene, sbirciando ancora per curiosità professionale l'andamento dei fondi comunitari, siamo messi di male in peggio, come sa bene chi se ne occupa, assillato da rendicontazioni e controlli che mostrano l'assoluta verità, insita in ogni caso analogico dalla frazione di un Comune sino al Palazzo dell'ONU. Nel libro degli orrori un giorno finiranno i fondi a favore degli agricoltori valdostani, finiti in una specie di "Risiko" nel quale a rimetterci ci sono solo loro, la loro salute mentale e l'equilibrio finanziario delle loro aziende. Esiste, anche per colpa dei soliti delinquenti e con gli opportuni distinguo per rari casi di civiltà, un'impostazione mentale - che è cristallina nella legislazione italiana, ricca di commi e codicilli - secondo la quale se non si moltiplicano le carte e la logica occhiuta, il cittadino è nato apposta per cercare di fregare la pubblica Amministrazione. Un pensiero unico che si diffonde, in Italia, per qualunque cosa: che si debba fare l'allacciamento del gas, disdire un abbonamento telefonico, dire che esistiamo in carne ed ossa con certificati di nascita e amenità varie. E tutto ciò non si è spostato di una virgola con la digitalizzazione, perché la carta resta e le multinazionali della comunicazione, che ci spiano e controllano dalla Rete in certi casi ti chiedono, per cambiare una virgola, di usare il fax! Mia moglie - ode alla sua persona! - si è occupata in questi mesi della costruzione di una casetta per la nostra famiglia. Ebbene è diventata - malgrado la formazione giuridica universitaria - una raccoglitrice delle mille necessità, minuzie che diventano gigantesche, richieste reiterate in carta da bollo, spiegazioni che sembrano la "stele di Rosetta" e spesso senza il venir meno della gentilezza di impiegati e funzionari, essi stessi prigionieri di una macchina kafkiana. Ogni tanto la vedo, legata alla sedia tipo Vittorio Alfieri, che fa dei riassunti che sembrano alberi genealogici per lo spostamento di un palo della luce o simili. Il top, che vivo anch'io, sono i tentativi di sopravvivere a quella nuova amenità che sono i "call center", per non dire dell'obbligo - ricaduto anche su di me - di avere la "Posta Certificata" - vuota come una tomba egizia dopo la predazione - e quando l'ho usata mi è stato osservato che per certe cose ci voleva comunque la mia firma certificata! L'isola deserta nel Pacifico o l'eremo in cima ad una vetta alpina potrebbero essere una soluzione, ma chissà che anche lì con la complicità, rispettivamente, di un paguro bernardo o di uno stambecco, ci sia poi qualche bega da risolvere, una sanatoria da affrontare, qualche pratica da espletare, qualche atteggiamento fantozziano da assumere.