Leggevo l'altro giorno, sul "Corriere della Sera", la "Lettera dal'Europa" di Alberto D'Argenio e riflettevo sul rischio di terribile provincialismo del dibattito in Italia sul futuro dell'Unione europea. Per non dire di come cui valga anche per la campagna elettorale per le regionali valdostane, che rischiano di diventare una rincorso alla promessa più mirabolante, mentre lo scenario europeo pare aver scarsa attenzione, forse perché non attrae voti. Osserva D'Argenio: «Se ancora esisterà, nel 2025 l'Unione europea conterà almeno 31 partner. Serbia e Montenegro stanno già negoziando l'adesione alla Ue, Albania e Macedonia potrebbero farlo presto visto che Bruxelles con Federica Mogherini ha da poco raccomandato ai governi di aprire le trattative entro giugno. In futuro potrebbe toccare a Kosovo e Bosnia. Anche se alcune capitali preferirebbero rallentare questo processo, in fondo nessuno in Europa è contrario all'integrazione dei Balcani occidentali».
Troppo fresco il ricordo della guerra che ha insanguinato la regione dopo il crollo della Jugoslavia, troppo palpabili le tensioni che ancora attraversano l'area. Tuttavia Emmanuel Macron di fronte alla plenaria dell'Europarlamento ha avvertito: «no a nuovi allargamenti fino a quando l'Europa non sarà riformata». Per fortuna c'è chi, come Macron, non segue una linea buonista, facendo finta che tutto in Europa fili liscio, mentre sappiamo bene quanti nodi irrisolti siano non solo giunti al pettine, ma stiano creando un'inquietante matassa. Prosegue l'articolo: «Nessuno può accusare il presidente francese di antieuropeismo, così come nessuno può pensare che preferisca lasciare i Balcani in balia delle loro storiche pulsioni anziché portarli in Europa. Il discorso è diverso, e di grande attualità. Già oggi l'Unione con 28 soci è ingovernabile. Non per colpa della burocrazia di Bruxelles - le cui politiche con pregi e difetti ambiscono a migliorare la vita dei cittadini - quanto dei governi, ormai spaccati su due faglie. L'Europa del Nord e quella del Sud da anni litigano senza trovare l'intesa sull'essenziale riforma per perfezionare l'euro. L'Europa dell'Ovest e quella dell'Est si scontrano sui migranti e su qualsiasi idea capace di rilanciare l'integrazione europea. L'inerzia dell'Unione è causata da queste spaccature che portano a un immobilismo causa ed effetto dell'avanzata dei populismi in giro per il Continente». Già si può fare finta di niente, ma il caso italiano e chiaro, basti pensare a "Cinque Stelle" e Lega che hanno scelto la sponda populista, incrociandola con una politica secca contro l'Europa e senza grandi sfumature. Anzi con una rozzezza appena attenuata da Luigi Di Maio, fu candidato Premier, specie quando era l'ora di un accordo poi sfumato con il Partito Democratico. Ancora D'Argenio: «Sullo sfondo si gioca la battaglia ancora più profonda sulla ragione sociale dell'Europa del futuro: resterà ancorata alle democrazie liberali oppure si piegherà alle autocrazie illiberali già visibili in alcuni paesi come nell'Ungheria di Viktor Orbán? La battaglia decisiva di questo scontro epocale si combatterà con le elezioni europee del maggio 2019. Con i partiti associati alla famiglia socialista in caduta libera, il prossimo anno l'Europarlamento potrebbe risvegliarsi con una maggioranza euroscettica, populista, guidata dall'estrema destra. Per evitare questo scenario, Macron sta lavorando alla costruzione di un proprio partito continentale, "Europe en Marche". Fondendosi con i liberali, rubando pezzi a popolari e socialisti, alleandosi con nuove forze come "Ciudadanos", ha l'ambizione di arrivare secondo alle europee dietro ai popolari, togliendo spazio agli euroscettici. Macron è l'unico leader che ancora vuole riformare l'Unione, che parla sinceramente di darle una nuova sovranità e rispettabilità di fronte ai cittadini. Progetto condivisibile che cozza contro la riluttanza dei suoi colleghi, Merkel compresa, e contro la debolezza politica dei suoi alleati naturali in questa crociata, Italia e Spagna. Macron ha ragione: prima di allargare l'Unione, bisogna riformarla. Quanto meno togliendo il diritto di veto alle singole capitali aumentando le decisioni a maggioranza altrimenti l'Europa diventerà ancora più ingovernabile. Ma prima ancora di guardare all'allargamento verso i Balcani, la cui prospettiva è di almeno sette o otto anni, la stessa riforma, alla quale si aggiungono quanto meno quelle sull'euro e delle politiche migratorie, deve essere messa a segno entro il 2019. Tutti lo affermano, ma a parte Macron nessuno ha il coraggio di crederci fino in fondo, preferendo anteporre interessi di breve termine a una coraggiosa visione del futuro. L'attuale classe dirigente europea però dalle parole dovrebbe passare ai fatti, altrimenti rischia di essere spazzata dalla mappa politica del Continente. E con essa rischierebbe l'estinzione la stessa Unione». Personalmente non ci sto a questa prospettiva distruttiva e suicida per il Vecchio Continente. Sarà ora di svoltare e cominciare a combattere sul campo la rozzezza degli antieuropeisti: riformare è un conto, giocare al massacro è un altro paio di maniche.