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29 lug 2018

No all'antieuropeismo

di Luciano Caveri

Bisogna resistere alla deriva antieuropeista e tocca prendere questo fenomeno molto sul serio, perché contrasti economici e politici possono sfociare in un battibaleno in una replica moderna di conflitti che hanno insanguinato per millenni il territorio europeo e le Guerre mondiali furono solo l'ultimo e più doloroso esempio. Ed invece questa memoria storica - ed il cammino che ne seguì per scelta illuminata - sembra smarrita e troppi irresponsabili agiscono come apprendisti stregoni in schieramenti apparentemente opposti in una compagnia di giro eterogenea ma aggressiva, dopo che altri hanno purtroppo preparato un terreno fertile. Abbiamo, infatti, assistito ad anni di un continuo martellamento contrario all'integrazione europea, che non ha avuto nulla a che fare con le critiche legittime agli errori ed alle storture che non sono servite a nobilitare la causa. In Italia, già a democrazia fragile e con un'opinione pubblica influenzabile con cambi repentini d'umore, si è passati da un europeismo tiepido e senza radici a paradossi fatti di "balle spaziali" costruite con malizia per affondare tutto senza alcuna distinzione.

Questo atteggiamento fa parte di filoni politici non solo di urlatori professionisti e mestatori nel torbido, ma anche di editorialisti di un qual certo calibro e non solo da parte di commentatori da strapazzo, che - esattamente come hanno assecondato certe baggianate antisistema arrivando a minare appassionatamente certe basi della democrazia rappresentativa - ora si stracciano le vesti per le derive che essi stessi hanno assecondato, soffiando sul fuoco della protesta e soprattutto dell'ignoranza. Guardo lo schermo dell'aereo che dettaglia in cabina su di una mappa l'itinerario in progress dell'attraversamento dell'Oceano Atlantico in direzione Vecchio Continente e poi, più ci si avvicina al punto di arrivo, e maggiormente l'Europa appare da area vasta a dettaglio della zona di atterraggio. Considero l'Europa casa mia e non solo perché ho fatto parte del Parlamento europeo e del "Comitato delle Regioni", ma perché sono europeista sin da ragazzo per convinzioni confermate dagli studi e dalla predisposizione intellettuale e d'animo. Penso che un valdostano non possa non esserlo nel solco della tradizione autonomista di apertura, compreso quel federalismo che apre la testa a chi ci crede davvero e di integrazione europea c'è chi parlava dall'inizio del secolo scorso e lo dimostra la "Dichiarazione di Chivasso" del 1943, molto meno ideologica del più celebre "Manifesto di Ventotene" del 1941. Negli anni ho scritto parecchio e ne ho parlato spesso in allocuzioni pubbliche, perché è bene dare il senso di un argomento vivo e che non si deve solo rifare alle citazioni del passato. So bene, essendo stato in quel grande contenitore più vasto che è il "Consiglio d'Europa" e pur sapendo di assenze per noi importanti come gli svizzeri, come la nozione più esatta e meno dispersiva sia quella politica di Unione Europea. Ho visitato tutti i ventotto Paesi europei, che poi sono ormai ventisette con l'autogol del Regno Unito attraverso un referendum che costerà caro. Mi sono convinto in queste visite quanto uno spirito europeo ci sia e non cozzi affatto con costumi e caratteri, perché certe diversità arricchiscono l'insieme. Chi vuole alzare barricate, riaccendere rivalità, bloccare la libera circolazione degli europei fra Paesi, tassare le merci e invitare a non consumare i prodotti dei propri vicini, per non dire di una generale aggressività verbale verso gli altri membri dell'Unione dimostra di essere irresponsabile e con lui chi gongola per queste misure protezionistiche e di chiusura mentale prima ancora che politica. Scorrendo l'ordine alfabetico c'è poco da stare allegri: l'Austria è la capofila di un oscurantismo alpino, il Belgio continua ad essere spezzato in due e se non fosse sede europea chissà cosa sarebbe successo, la Bulgaria resta un esempio di un allargamento poco accorto, Cipro resta divisa fra greci e turchi (troppo corteggiati in passato dall'Europa), la Croazia mostra come i Balcani insanguinati siano più europeisti di altri, la Danimarca è fra i Paesi nordici che mostrano dubbi sulla tenuta del Sud, Estonia con gli altri baltici che anticipo (Lettonia e Lituania) guardano con orrore a chi improvvisamente apre alla Russia e lo stesso vale per la Finlandia, la Francia aveva in Emmanuel Macron un faro europeista oggi ridimensionato per una leadership cesaristica, la Germania vive la crisi di Angela Merkel e di una colazione di governo divisa, la Grecia resta in grave crisi finanziaria, l'Irlanda è spaventata dalla "Brexit", il Lussemburgo cova scandali finanziari, Malta ha problemi di legalità, i Paesi Bassi restano ciecamente filoatlantici, la Polonia ha rischi di libertà civili, il Portogallo attira i pensionati italiani, la Repubblica Ceca avanza fra difficoltà, come la Romania, la Slovacchia e la Slovenia, mentre la Spagna non ha risolto il problema Catalano, la Svezia - generosa con il diritto d'asilo - ora riflette, ed infine l'Ungheria scivola verso un regime autoritario. E l'Italia? Leggete che cosa ne pensa la grande stampa europea.