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09 ago 2018

Contro l'odio

di Luciano Caveri

Dal "Vangelo" di Giovanni. Lo ricordate? "E Gesù se ne andò al monte degli Ulivi. Ma sul far del giorno tornò di nuovo nel tempio e tutto il popolo venne da lui; ed egli, postosi a sedere, li ammaestrava. Allora i farisei e gli scribi gli condussero una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, dissero a Gesù: «Maestro, questa donna è stata sorpresa sul fatto, mentre commetteva adulterio. Ora, nella legge Mosè ci ha comandato di lapidare tali donne; ma tu, che ne dici?». Or dicevano questo per metterlo alla prova e per aver di che accusarlo. Ma Gesù, fingendo di non sentire, chinatosi, scriveva col dito in terra. E, come essi continuavano ad interrogarlo, egli si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei»".

"Poi, chinatosi di nuovo, scriveva in terra - si legge ancora - Quelli allora, udito ciò e convinti dalla coscienza, se ne andarono ad uno ad uno, cominciando dai più vecchi fino agli ultimi; così Gesù fu lasciato solo con la donna, che stava là in mezzo. Gesù dunque, alzatosi e non vedendo altri che la donna, le disse: «Donna, dove sono quelli che ti accusavano? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». Gesù allora le disse: «Neppure io ti condanno; va' e non peccare più»". Questa era la Palestina di duemila anni fa, di cui sono imbevute le Sacre Scritture: per noi cattolici, ma vale anche per il laico di fronte alle proprie convinzioni ed ai propri valori senza chiamare in causa la fede, quel che conta è questo invito evidente all'umiltà del «chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra» di fronte - sia detto per inciso - a quel fenomeno di lapidazione purtroppo ancora ben presente in alcuni Paesi, specie laddove si applica la "Sharia", la legge islamica. Ci pensavo rispetto al riapparire con evidenza - non solo in politica - di fenomeni di razzismo e di xenofobia, di violenza gratuita squadristica e di intolleranza verso ogni diversità, di mancato rispetto di principi essenziali del Diritto (ed evangelici per chi sostiene di attenersi ad essi), di riesumazione di vecchie ideologie e di riabilitazione di dittature che hanno avvelenato il mondo, che ti spingono ad un esame di coscienza sul che cosa alberghi in ciascuno di noi per essere piombati in questa situazione e soprattutto in chi segue certe piste ed evoca certi fantasmi. Anche a me può capitare una battuta stupida o un apprezzamento sbagliato - nessuno può essere una vergine del "politicamente corretto" - ma questo è ben diverso da certa aria di questi tempi, che spalanca baratri di ignoranza, perfidia e disumanità, come se si trattasse ormai non solo della normalità, ma pare ci sia la ricerca della sensazione del "spararla più grossa" per dare la stura ai sentimenti più bassi e viscerali. Vorrei esprimere qui il mio senso di ribellione e di preoccupazione, che non è affatto buonismo, ma paura rispetto alla mancanza di regole, all'indifferenza fra diritti e doveri, e soprattutto all'incapacità di rispettare gli altri. Questo certo non significa "calare le braghe" rispetto al nostro patrimonio culturale ed ai fondamenti del vivere civile. Ma certi principi non hanno nulla a che fare con il rischi di rendere virale l'odio: è facile accendere dei fuochi, più difficile - dopo averli fatti propagare - è spegnerli. Scriveva Umberto Eco: «L'odio può essere collettivo, e deve esserlo per i regimi totalitari, così che da piccolo la scuola fascista mi chiedeva di odiare "tutti" i figli di Albione e Mario Appelius recitava ogni sera alla radio il suo "Dio stramaledica gli inglesi". E così vogliono le dittature e i populismi, e spesso anche le religioni nella loro versione fondamentalista, perché l'odio per il nemico unisce i popoli e li fa ardere tutti di un identico fuoco. L'amore mi scalda il cuore nei confronti di poche persone, l'odio riscalda il cuore mio, e quello di chi sta dalla mia parte, nei confronti di milioni di persone, di una nazione, di un'etnia, di gente dal colore o dalla lingua diversa. (…) L'odio non è quindi individualista bensì generoso, filantropico, e abbraccia in un solo afflato immense moltitudini. E' solo nei romanzi che ci viene detto come sia bello morire per amore; di solito è raffigurata come bellissima la morte dell'eroe che lo coglie mentre scaglia una bomba contro l'odiato nemico. Ecco pertanto perché la storia della nostra specie è stata sempre maggiormente segnata dall'odio, e dalle guerre, e dai massacri, e non dagli atti d'amore (meno confortevoli e spesso faticosissimi qualora si vogliano estendere oltre la cerchia del nostro egoismo). La nostra propensione alle delizie dell'odio è così naturale che risulta facile coltivarla ai reggitori di popoli, mentre all'amore ci invitano solo esseri scostanti che hanno la disgustosa abitudine di baciare i lebbrosi». Ovvio il ricorso al paradosso, ma certo bisogna interrogarsi su che cosa ci circondi e si affermi come un nuovo modello che ci peggiora.