Quella persona seria che è l'ex ministro Carlo Calenda - per uscire dalla paralisi in cui sembra precipitato il Partito Democratico (e io dico «ben gli sta!», dopo il tentativo improvvido di riformare malamente la Costituzione) - ha invitato a cena, come avevo letto su "Twitter", altri tre big del partito Matteo Renzi, Paolo Gentiloni e Marco Minniti. Apriti cielo! Gli esclusi si sono sentiti subito mancare e nasce la contromossa di Nicola Zingaretti, per ora l'unico candidato ufficiale alle primarie del PD, ha lanciato - con evidente spirito di rivalsa - una serata alternativa, evidentemente provocatoria, con un imprenditore, un operaio, uno studente, un professore, un volontario e un professionista. Evito ogni commento.
Così come il presidente della Puglia, Michele Emiliano, che non si capisce cosa faccia ormai nel PD (è "pentastellato" di fatto per le sue scelte) ha dichiarato: «La questione della cena mi sembra un metodo sul quale avevo sentito molte volte Renzi dire che non gli piaceva partecipare a caminetti. Evidentemente ha cambiato idea». Alla fine Calenda ha gettato la spugna (verrebbe da dire i piatti) ed ha annullato tutto, battendo il naso per l'ennesima volta. Lo ha fatto con la sua onestà intellettuale e con quell'umanità che ha lo portato a raccontare, con il suo consenso, della grave malattia della moglie Viola, che gli ha impedito da un po' di tempo a questa parte di essere partecipe a manifestazioni pubbliche. La stessa onestà che gli ha fatto dire, come amaro commento, che al PD non serve più un segretario ma uno psichiatra. Personalmente assisto attonito al lento declino del grande partito, che una volta era portabandiera della Sinistra e che poi - specie con Renzi - si era spostato in un'indeterminata area centrista, certamente intrisa di quello spirito movimentista, da più forni in uno, caratteristico di certa vecchia Democrazia Cristiana. L'esclusione dal Consiglio Valle di questo stesso partito è la dimostrazione plastica di una crisi che non investe solo Roma, come si è visto dai risultati delle Politiche, dove in certe roccaforti rosse sono stati Lega e "Cinque Stelle" ad avere spopolato. Ma il PD resta spaccato al proprio interno e la sua capacità di fare opposizione è quantomeno balbettante, occupandosi di minuzie e non di sostanza di fronte al Governo Conte. La verità è che le cene non portano bene: che siano le "cene eleganti" di Silvio Berlusconi ad Arcore, le cene con mafioso in cui ogni tanto qualche maggiorente di varia estrazione casca, le "cene elettorali" per raccogliere fondi che siano renziane o di Casaleggio padre e figlio. Giancarlo Pajetta, comunista sanguigno e perspicace (che amava la Valle d'Aosta e ricordava la "Giunta del Leone"), parlava dei democristiani - sfottendo la logica del "mangia mangia" - come "forchettoni" ed i guru della comunicazione sconsigliano a qualunque politico di farsi fotografare con il boccone in bocca, perché alimenta (verbo adattissimo...) solo il luogo comune. Anche in Valle d'Aosta si sono fatte e si faranno cene topiche. Che sia nella saletta riservata di un ristorante nel Canavese per sfuggire a occhi indiscreti (in genere piomba con tavolo all'ingresso-uscita una comitiva valdostana...), che sia nella classica tavernetta con prodotti locali e buon vino, che sia in alpeggio da qualcuno che mette la polenta sul fuoco e ci sta il grappino finale. Confesso, pur avendo partecipato a certi incontri, che questa logica conviviale alla fine mi convince poco, essendo non produttiva come dovrebbe essere. Quando si mangia non si discute seriamente, come bisogna fare attorno ad un tavolo in cui si debba discutere questioni importanti. L'unica eccezione valida può essere, all'europea e lo si fa anche negli States, la prima colazione perché non c'è un alternarsi di portate e non gira a quell'ora qualche bicchiere che mette allegria ma obnubila il ragionamento. Non che in Politica non ci debbano essere momenti di festa e di distensione: possiamo ridere delle vecchie "Feste dell'Unità" o degli estinti "Rendez-Vous" dell'Union Valdôtaine, ma vi assicuro che in quelle tavolate - magari dopo qualche dibattito su un palco - si avvertiva quel calore popolare che la passione politica una volta instillava. Dico "una volta" perché oggi esiste una ripulsa con vari sbocchi, che non vede una soluzione. Qualche altro caposaldo: la riunione politica per decidere questioni significative deve svolgersi la mattina e non la sera quando si è stanchi, bisogna avere un conduttore della discussione ed un ordine del giorno ben definito per evitare digressioni, dandosi tempi di intervento una rotazione fra i presenti per sopprimere gli sbrodoloni. Bisogna, nel limite del possibile, evitare le domeniche, non tanto per la sola logica di santificare le feste, ma perché uno dei veleni della politica sta nel trascurare la propria famiglia, per chi ce l'ha e chi non ce l'ha deve capire chi invece ne ha una. Aggiungo che, quando si siede per decidere, bisogna avere anche una propensione a trovare il compromesso quando è necessario, altrimenti - se la logica pregressa è il "muro contro muro" - incontrarsi fa solo montare a tutti la carogna e basta un cerino per far scoppiare un incendio ed è più facile appiccare il fuoco che spegnerlo. La Politica come elemento eccessivamente totalizzante della propria vita è un rischio serio per il proprio equilibrio mentale e bisogna sempre cercare di ricavare spazi propri, amicizie che prescindano, momenti di svago e di socialità che nulla abbiano a che fare. Aggiungo - a costo di essere considerato saccente - che bisogna avere anche momenti in cui leggere e studiare, altrimenti si perde il terno della conoscenza. E si resta immersi in una dimensione che può diventare irreale, così come lo è l'eccesso in tutto: chi sta troppo in ufficio a lavorare perde contatti utili con l'esterno, chi ritiene l'attività politica un girovagare fra manifestazioni e sagre non si capisce alla fine come faccia ad approfondire i dossier.