Mi piace conversare e penso di appartenere alla categoria dei "chiacchieroni", qualora esistesse nel termine un versante positivo. Ha scritto Ernst Junger: «Certo è che la conversazione ha anche un compito che spetta a lei sola e che non può essere sostituito da alcun altro mezzo. In essa si deposita proprio quel che di fugace, quel chiaroscuro dei tempi che nessuno storico rievocherà. Esso trascolora con il giorno come la brina, il velluto dei frutti». E' vero: la conversazione di ciascuno di noi con i nostri interlocutori passa e va, ma in realtà ho sempre pensato che ci sia qualcosa di grande sostanza, che è - se ci si riesce - un arricchimento reciproco. Anche se - diciamoci la verità - certe conversazioni di un tempo, magari fugaci, oggi sono spente perché siamo chini sui telefoni e sui tablet. Magari, evidente paradosso, perché impegnati con conversazioni - ad esempio via chat - con qualcuno remoto e non con l'essere umano in una sala d'aspetto o su di un treno.
Anna Maria Testa, esperta in comunicazione, scrive un articolo molto carino su questa storia della comunicazione su "Internazionale", che così comincia: «Conversare dovrebbe essere una capacità che tutti abbiamo, e a conversare ci si dovrebbe addestrare già da ragazzini. Magari imparando a rispettare la regola fondamentale (ma non così universale, almeno se guardiamo a quel che succede nei talk show) dei turni di parola: quando tu parli io ascolto, quando io parlo tu ascolti». Anche chi fa le interviste, che sono ovviamente ad altra destinazione della conversazione corrente, deve avere - e ho la presunzione di averla - quella capacità di ascolto e di calibratura dei tempi. Quando i miei interlocutori in Radio mi chiedono quali domande porrò, mi permetto di dire loro che non so ed è vero! Nel senso che il filo deve nascere e svilupparsi con spontaneità e seguendo il percorso della propria curiosità e bisogna avere il coraggio di interloquire quando si ha l'impressione che si depositi sul dialogo una polvere di noia. Aggiunge la Testa: «Conversare dovrebbe anche essere un'attività gratificante. Dopotutto riguarda le chiacchiere in famiglia o tra amici, o l'incontro tanto casuale quanto piacevole e illuminante che può verificarsi in treno, e perfino uno scambio di battute cordiali con il panettiere. Riguarda il condividere informazioni e idee, il confrontare opinioni e il raccontarsi storie, ma soprattutto l'entrare in contatto con qualcun altro (una cosa che fa star bene e scalda il cuore), perfino nel tempo breve di una salita in ascensore». Aggiunge poi la Testa sulla "danza delle parole": «Molti paragonano il conversare a una partita di tennis o di ping pong, per via della palla che passa dall'uno all'altro. Poiché il ritmo è fondamentale, e poiché le cose funzionano meglio se non si considera l'altro come un avversario da sconfiggere, potrebbe essere, piuttosto, una danza in cui si guida a turno. Ma sono conversazioni anche i colloqui di lavoro, quando riescono a non somigliare troppo a un interrogatorio. Lo sono i dialoghi terapeutici e le negoziazioni: tutti motivi in più per sviluppare la capacità di avere una buona conversazione». Salto qualche passaggio e vengo ad alcuni consigli finali offerti dalla Testa e che mi sembrano buoni per molti usi: «In una breve (meno di dodici minuti) e vivace "Ted conference", il cui ascolto mi sentirei di consigliare a tutti, la giornalista radiofonica Celeste Headlee offre dieci semplici (e ottime) norme per costruire una buona conversazione. Sono le stesse che lei segue quando vuole ottenere una buona intervista. Non si tratta - dice - di dichiararsi sempre d'accordo, di guardare l'altro negli occhi facendo cenni di assenso, o di scovare argomenti brillanti. Eccovi una sintesi, commentata.
- Se state parlando con qualcuno, pensate a quello e non ad altro (e su, mettete via il telefono).
- Non pontificate, celebrando le vostre opinioni. Pensate che da quella conversazione potreste imparare qualcosa.
- Fate domande aperte, che non contengano una risposta implicita (questo è proprio un bel punto. Se chiedete a qualcuno "eri spaventato?", potrà solo rispondervi sì o no. Se gli chiedete "come ti sentivi", potrà rispondervi che era sorpreso, terrorizzato, arrabbiato, indifferente... e vi dirà come e perché).
- Seguite il flusso (e rieccoci all'idea di danzare). Ogni risposta può portarsi dietro altre domande. Fate quelle, e non quelle che avevate in testa da prima.
- Non dite quello che non sapete (molti dei punti citati ci rimandano alle massime di Grice. Questo, soprattutto).
- Non fate a gara con il vostro interlocutore contrapponendo la vostra esperienza alla sua: una conversazione non è un'opportunità autopromozionale.
- Non ripetete allo sfinimento i concetti che ritenete importanti (questo capita soprattutto nelle conversazioni familiari). E' noioso e paternalistico (e, aggiungo, è un modo per dare indirettamente del cretino al vostro interlocutore).
- Lasciate da parte i dettagli irrilevanti.
- E' la raccomandazione più importante: ascoltate. Ascoltare prestando attenzione è più faticoso e meno gratificante che parlare. Ma se non c'è ascolto, non è una conversazione: sono persone che si parlano addosso.
- Siate brevi. Il segreto è tenere la bocca più chiusa, tenere la mente più aperta, ed essere sempre pronti a sorprendersi. Infine, non dimentichiamocelo: tutte le volte che conversiamo come bisogna, compiamo un'attività non solo emotivamente gratificante, ma intrinsecamente creativa. Si tratta di collaborare alla formazione (appunto, alla creazione) di un nuovo senso condiviso, tale da arricchire entrambi. Un motivo in più per restituire importanza all'arte, troppo poco praticata, della conversazione». Ci sono delle volte - e per fortuna non raramente - in cui a conclusione di una conversazione, mi trovo a pensare e spero che sia la stessa cosa per l'altro o gli altri: che bella chiacchierata!