Torna il clima di Natale, ecco i lavoretti per i genitori, appaiono le recite con canzoni e scenette, si discute di presepi e alberi nelle scuole. Ci sono cose vecchie e cose nuove in un mix irresistibile, che fa del periodo natalizio un insieme di déjà-vu e con nuove polemiche già oziose appena nate. La verità - e non è eretico verso la fede nel Natale cristiano - è che nel cuore dell'inverno, dalle civiltà più antiche in poi, ci vuole un momento di festa come se l'uomo avesse avuto da sempre coscienza che nel buio della stagione più fredda fosse necessario trovarsi assieme con qualcosa di buona da mangiare, con i canti e le storie e con simboli luminosi e di speranza, perché poi - come nel ciclo della vita - tutto ripartisse da una primavera. Per altro - guardavo un tizio dalla scrivania del mio lavoro mentre trafficava nell'orto apparentemente intirizzito, lui come l'orto - nulla si ferma mai nella Natura e nell'uomo che la coltiva, come avviene con la spiacevole laccatura dei prati, dove gli escrementi degli animali sono, come una specie di compensazione, la nutrizione dei prati che si rinverdiranno al momento buono.
Ma non è solo una questione umana fine a sé stessa, perché vi è di connesso l'evocazione che si fa in tutte le religioni di un Essere che muova tutti quei meccanismi che ruotano attorno al mistero della nostra vita e che tornano - nelle diverse celebrazioni possibili, secondo i riti e le credenze - anche nelle festività e nella simbolistica del Natale come esempio massimo, che avvince anche chi è più laico possibile. Spicca, come un albero di Natale maestoso, quella retorica natalizia che avvolge tutto in un'atmosfera di melassa, in cui anche io mi precipito volentieri, perché trovo che fare gli snob - di fronte ad una recita collettiva - finisca per non avere senso. Per questo da anni predico, come un senso civico, che non ci si dimentichi nel pubblico e nel privato di luminarie che diano un senso di comunità e chi non lo fa per i bambini o per il bambino che ha ancora dentro lo faccia perché compartecipa a qualcosa che unisce. Mi capitava, poco più di adolescente, di avere - rispetto al Natale - qualche moto di ribellione e di andarmene a sciare per evitare pranzi e socialità, come rifiuto verso quanto di zuccheroso e fasullo ruota attorno ad una festività densa di significati, che diventa eccessiva e non solo per il consumismo che l'avvolge con una carta da regalo. Ma - lo ripeto ancora - avendo aspetti recitativi e consolatori: perché no? Esiste solo un aspetto che andrebbe propagandato come da evitare, anche se in apparenza politicamente scorretto. Senza negare il messaggio che emerge da momenti come Natale e Pasqua - la Vita e la Morte con un potente apparato di significati più o meno reconditi - bisognerebbe evitare, per pudore della nostra stessa umanità, quel tema che invece viene piantato nella testa dei bambini, che - come topolini di Pavlov - devono dire che desiderano alle Feste più comandate «la Pace nel Mondo». Basta dare un'occhiata al mappamondo, uno degli articoli da regalo che più consiglio per il suo plurimo utilizzo e la sua utilità persino plastica, per dirci almeno fra di noi quanto la speranza, giusta giustissima sacrosanta, sia però qualcosa da disvelare anche nelle mente dei fanciulli, perché diffidino del fatto che questo sia un regalo realizzabile e ottenibile - che so - con un post scriptum alla letterina a Babbo Natale od a Gesù Bambino. Potrei giocare con il paradosso di Achille Campanile: «Da che mondo è mondo perché si fanno le guerre? Per assicurarsi la pace. E' raro che si faccia una guerra per arrivare alla guerra. Se per assicurarsi la pace occorre fare la guerra, non sarebbe meglio rinunziare alla pace? Almeno non si farebbero le guerre. No! Perché se non si fanno le guerre che servono ad evitare le guerre, vengono le guerre». Mi sembra interessante ricordare un avvenimento non notissimo. Era il 1932 e la "Società delle Nazioni" propose ad Albert Einstein di invitare una persona di suo gradimento ad uno scambio di opinioni su di un tema da lui scelto. Einstein scelse la guerra, argomento urgente allora come oggi anche se differente era la conformazione storica e politica del mondo nonché le categorie di classificazione della guerra. Così si esprimeva Einstein verso il fondatore della psicoanalisi, Sigmund Freud: «La domanda è: c'è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra? E' ormai risaputo che, col progredire della scienza moderna, rispondere a questa domanda è divenuto una questione di vita o di morte per la civiltà da noi conosciuta, eppure, nonostante tutta la buona volontà, nessun tentativo di soluzione è purtroppo approdato a qualcosa. Penso anche che coloro cui spetta affrontare il problema professionalmente e praticamente divengano di giorno in giorno più consapevoli della loro impotenza in proposito, e abbiano oggi un vivo desiderio di conoscere le opinioni di persone assorbite dalla ricerca scientifica, le quali per ciò stesso siano in grado di osservare i problemi del mondo con sufficiente distacco. Quanto a me, l'obiettivo cui si rivolge abitualmente il mio pensiero non m'aiuta a discernere gli oscuri recessi della volontà e del sentimento umano. Pertanto, riguardo a tale inchiesta, dovrò limitarmi a cercare di porre il problema nei giusti termini, consentendole così, su un terreno sbarazzato dalle soluzioni più ovvie, di avvalersi della sua vasta conoscenza della vita istintiva umana per far qualche luce sul problema». La lettera completa la trovate sul Web e ne potrete cogliere meglio che in un estratto l'assoluta ricchezza di temi e lo steso vale per la complessa e suggestiva risposta di Freud, di cui metto un ultimo pezzo: «Da tempi immemorabili l'umanità è soggetta al processo dell'incivilimento (altri, lo so, chiamano più volentieri questo processo: civilizzazione). Dobbiamo ad esso il meglio di ciò che siamo divenuti e buona parte di ciò di cui soffriamo. Le sue cause e origini sono oscure, il suo esito incerto, alcuni dei suoi caratteri facilmente visibili. Forse porta all'estinzione del genere umano, giacché in più di una guisa pregiudica la funzione sessuale, e già oggi si moltiplicano in proporzioni più forti le razze incolte e gli strati arretrati della popolazione che non quelli altamente coltivati. Forse questo processo si può paragonare all'addomesticamento di certe specie animali; senza dubbio comporta modificazioni fisiche; tuttavia non ci si è ancora familiarizzati con l'idea che l'incivilimento sia un processo organico di tale natura. Le modificazioni psichiche che intervengono con l'incivilimento sono invece vistose e per nulla equivoche. Esse consistono in uno spostamento progressivo delle mete pulsionali. Sensazioni che per i nostri progenitori erano cariche di piacere, sono diventate per noi indifferenti o addirittura intollerabili; esistono fondamenti organici del fatto che le nostre esigenze ideali, sia etiche che estetiche, sono mutate. Dei caratteri psicologici della civiltà, due sembrano i più importanti: il rafforzamento dell'intelletto, che comincia a dominare la vita pulsionale, e l'interiorizzazione dell'aggressività, con tutti i vantaggi e i pericoli che ne conseguono. Orbene, poiché la guerra contraddice nel modo più stridente a tutto l'atteggiamento psichico che ci è imposto dal processo civile, dobbiamo necessariamente ribellarci contro di essa: semplicemente non la sopportiamo più; non si tratta soltanto di un rifiuto intellettuale e affettivo, per noi pacifisti si tratta di un'intolleranza costituzionale, per così dire della massima idiosincrasia. E mi sembra che le degradazioni estetiche della guerra non abbiano nel nostro rifiuto una parte molto minore delle sue crudeltà. Quanto dovremo aspettare perché anche gli altri diventino pacifisti? Non si può dirlo, ma forse non è una speranza utopistica che l'influsso di due fattori - un atteggiamento più civile e il giustificato timore degli effetti di una guerra futura - ponga fine alle guerre in un prossimo avvenire. Per quali vie dirette o traverse non possiamo indovinarlo. Nel frattempo possiamo dirci: tutto ciò che promuove l'evoluzione civile lavora anche contro la guerra». C'è da sperare che sia davvero così anche se mi sembra che come negli anni Trenta del Novecento, quanto sta avvenendo è una crescita di situazioni che potrebbero sfociare in conflitto terribile. Certo è che bisognerebbe semplificare questo scambio di lettere per i bambini per capire che la Pace è una cosa complessa anche da evocare.