Non ho seguito in diretta gli esiti finali delle votazioni di questa edizione autarchica (niente stranieri neppure fra le star ospiti) del "Festival di Sanremo". Non lo dico per snobismo ma perché queste lunghe maratone, viste dal divano di casa, sono per me concepibili solo se oggetto - come mi è capitato in passato - di frizzi e lazzi in compagnia di un gruppo di amici con cui destrutturare la serata con spirito goliardico. Ed anche quest'anno - da quanto ho visto soprattutto nelle registrazioni delle serate ce n'era ben donde, visto che si trattava di un'edizione molto nostalgica più per un pubblico attempato che giovanile. Per altro è questa la fotografia della demografia italiana ed anche del pubblico medio della televisione generalista e dunque - per inseguire gli ascolti - questa è la strada maestra nella scelta dei conduttori e nei copioni predisposti dagli autori. Questa "TeleNostalgia" non è solo nostalgia e vecchi merletti fra naftalina, formalina e chirurgia estetica, ma deriva anche dal rifiuto di un presente che mette ansia per la sensazione di un nuovismo politico che manda tutto a rotoli, con esponenti politici che hanno il tocco opposto a quello del famoso Re Mida.
Sull'esito finale quel che mi interessa l'evidente calembour. Diceva mia suocera, fulgido esempio - lo dico con affetto - del martellamento mediatico-ideologico di chi comanda, che finalmente «è un Festival della canzone italiana senza gli stranieri che non c'entrano». Segno che il messaggio isolazionista era arrivato al bersaglio. Difatti la sua favorita era l'urlante Loredana Bertè dai capelli turchini e la minigonna da settantenne imbolsita con un viso mascherone. Il pubblico dopo le sue grida si levava in piedi un po' pilotato un po' a completamento dell'operazione passatista, che era iniziata con il ricordo della sorella Mimì, che amavo tantissimo per le sue interpretazioni. "Sanremo" l'ha ricordata con ipocrisia, visto che morì sola con la terribile maledizione che si portava addosso nel mondo artistico di portare sfortuna. In linea con questo vecchiume fra ricordi e vecchie glorie il pubblico ha contestato il quarto posto della Bertè, contestando di fatto il vincitore, che è stato il vero scossone della serata e direi un calcio nel sedere ai sondaggisti persino in politica. Vince, infatti, l'italo-egiziano cantautore-rapper Mahmood con un brano tormentone "Soldi", che ricorda con il tema di un padre lontano una canzone, "Papaoutai", del belga Stromae. Ovvio come, nella temperie di un'Italia lacerata dal tema dell'immigrazione, questa vittoria sia abbastanza singolare e la reazione contrariata del pubblico dell'"Ariston" e del ministro dell'Interno Matteo Salvini sono una cartina di tornasole interessante, anche se "sono solo canzonette". Cosa covi sotto questo esito ce lo diranno commentatori vari con più esattezza e ricchezza rispetto a quanto possa fare io su questo graffio colorato sulla tela grigia dell'Italia di oggi.