Seguo con curiosità di cittadino, e con qualche malizia di politico di lungo corso, gli avvenimenti del Consiglio Valle, che di questi tempi - in modo non molto fausto - ha compiuto settant'anni dalle prime elezioni democratiche del dopoguerra. Per fortuna non è in vita nessuno dei consiglieri di allora, perché è stato risparmiato loro di assistere a spettacoli che li avrebbero stupefatti e addolorati, pensando a fatiche e sacrifici che portarono allo Statuto di Autonomia. Prosegue quella continua instabilità, che ha determinato mille problemi ed una scarsissima produttività legislativa e che alimenta un clima di terribile conflittualità con dibattiti infiniti e velenosi. Si aggiungono gravi vicende giudiziarie, il cui perimetro potrebbe persino allargarsi, lesive della credibilità delle Istituzioni stesse. Questo clima alimenta una crescente richiesta di uscire dal tunnel con un ritorno anticipato alle urne, che sembrava lo sbocco naturale indicato all'atto della nascita dallo stesso Governo Fosson in carica, che invece ormai sopravvive ad ogni logica di buonsenso, vivacchiando tra mille equilibrismi sul limitare dei diciotto voti su 35.
"Primum vivere": questo potrebbe essere il motto da adottare, pur di non cadere. Dal Governo di scopo si è passati al "si salvi chi può" sulla nave sempre più in mezzo alla tempesta, guardando a sé stessi e non alla comunità, malgrado si issi la bandiera del senso di responsabilità e del mitico "bene comune" per non staccare la spina e dare la parola agli elettori. Capisco bene come interrompere una Legislatura sia, per chiunque sia stato eletto in qualunque schieramento, una disgrazia. Ottenere un incarico elettivo è un grande onore, ben retribuito nel caso dei consiglieri regionali, spesso più interessante del proprio "vero" lavoro, per chi ne aveva uno. Giustamente, quando si ottiene un seggio grazie alla fiducia popolare, che sia frutto più dei voti di lista che delle preferenze, finisce per non avere importanza, si immagina una durata normale per tutti i cinque anni e si organizza la propria vita e quella della propria famiglia. Per cui è comprensibile e molto umano che si voglia evitare la fine prematura di un'esperienza che segna la vita, specie se - anche in questo caso non è disdicevole - esiste il legittimo dubbio di non riuscire più a confermare la propria elezione. Allo spirito di sopravvivenza si sommano, ad adiuvandum, questioni più politiche, tipo la possibilità che un voto anticipato favorisca gli avversari politici, a maggior ragione se - nel gioco democratico fra maggioranza e opposizione - si possa supporre che le circostanze li potrebbero favorire ed avessero buone possibilità di governare loro. Tutto questo insieme di emotività e di calcolo porta alla ricerca del "puntello", della "stampella", della "ruota di scorta" per andare avanti, costi quel che costi. Se così sarà di nuovo si tratta di una visione miope, incompresa dai cittadini, una sorta di harakiri politico, che nuoce alla stessa Autonomia, con buona pace dei suoi molti difensori, alcuni dei quali non potranno sperare per questo nella clemenza della Corte, che sono in questo caso i valdostani.