Mai come in questo momento ci sarebbe bisogno di saggezza nel solco di quanto diceva il grande scrittore della montagna, Mario Rigoni Stern: «Leggete, studiate, e lavorate sempre con etica e con passione; ragionate con la vostra testa e imparate a dire di no; siate ribelli per giusta causa, difendete la natura e i più deboli; non siate conformisti e non accodatevi al carro del vincitore; siate forti e siate liberi, altrimenti quando sarete vecchi e deboli rimpiangerete le montagne che non avete salito e le battaglie che non avete combattuto». Sembrano precetti dimenticati, specie in Politica dove si sono fatti rari o inascoltati i saggi, cioè persone che conoscano le cose e che agiscano con prudenza grazie anche al bagaglio di esperienze accumulate. La Politica per altro non è che lo specchio della società. Si può a lungo discutere, infatti, sul suffragio universale e dei molti che adoperano il voto senza conoscenza e discernimento, ma lo specchio deformato della politica è conseguenza in parte del prevalere in troppe occasioni - elezioni comprese - di imprudenza e ottusità e si potrebbero adoperare anche tutti gli altri termini anche meno eleganti che si trovano come contrari della saggezza (spiccano irragionevolezza e asineria...).
Leggevo l'altro giorno su "La Stampa" un'intervista a Piero Angela, giornalista notissimo, che dall'alto dei suoi 91 anni - e sulla base di una sua logica cartesiana dimostrata nei libri e nelle trasmissioni televisive - ha lasciato ad Alberto Sinigaglia alcune perle di saggezza. Tipo la consapevolezza sul debito pubblico, il vero dramma della finanza pubblica italiana, che tra l'altro sembra neppure essere al centro delle paradossali ed a tratto comiche discussioni ferragostane sul Governo che verrà. Osserva Angela: «Il nostro debito pubblico arriva a 2.300 miliardi. Una cifra astratta. Ma quanti sono davvero? Prova a mettere una banconota da cento euro su un tavolo. Aggiungine accanto un'altra ed un'altra ed un'altra ancora fino a 2.300 miliardi. Ne uscirebbe un nastro lungo cinque volte la distanza dalla Terra alla Luna. Quando mai riusciremo a pagarli? Se continuiamo a far debito invece di abbatterlo manderemo sempre più in tilt la macchina della ricchezza alimentando la macchina della povertà».
Lo incalza il giornalista: «non ci deve pensare la politica?» Angela: «contrariamente a quanto si pensa, la politica non ha mai creato ricchezza. Per secoli, per millenni i popoli del mondo sono rimasti analfabeti, poveri, con poco cibo. Ovunque, da una parte i ricchi dall'altra i poveracci».
E sul cambiamento: «tra Ottocento e Novecento, quando le ruote hanno cominciato a girare nei campi e nelle officine, grazie ad un'energia trasportabile. La popolazione agricola in Italia rappresentava oltre il settanta per cento, oggi meno del quattro per cento. In America meno dell'uno per cento. Lo stesso è accaduto nelle fabbriche. L'efficienza produttiva rende cibo e oggetti sempre più accessibili, diffonde il benessere e permette la scolarizzazione: dall'analfabetismo di massa si passa alla scuola (ed all'università) di massa. Cambiano i lavori, scienza e tecnologia si infilano in ogni campo, facendo rivoluzioni. E continuano a ritmo incalzante. Dobbiamo adattarci a questo ritmo. E' lì che dobbiamo agire».
Poi illustra a Sinigaglia le priorità: «innovazione, ricerca, educazione, valori, imprenditorialità: cinque strumenti, un pacchetto unitario. Potrà arrestare la macchina della povertà, rimettere in moto la produttività. La nostra è ferma mentre l'Europa è in crescita e abbiamo competitori enormi. Abbiamo tra l'altro un serio problema demografico».
Chi mi conosce sa quanto la questione mi colpisca, specie in una Valle d'Aosta dai dati clamorosi.
Questa la sua analisi: «crollo delle nascite e longevità s'intrecciano, mettendo in crisi la classica sequenza "studio - età produttiva - pensione". Il segmento degli attivi dovrà mantenere coloro che non producono ancora e coloro che non producono più. La natalità in Italia è di un figlio ogni coppia, in Francia quasi due figli grazie agli incentivi statali. Anche l'Europa del Nord è più prolifica di noi. Ma non è il guaio più grave».
E poi il vuoto culturale: «è la scuola. Se ne parla troppo poco e mai come se ne dovrebbe parlare. Si discute di insegnanti precari, di scuola pubblica e privata, di edifici fatiscenti, di mense scolastiche. Non di efficienza dell'insegnamento, di programmi da cambiare per non perdere contatto con il mondo. In Asia si formano milioni di ingegneri, studiano come matti, Est e Sudest sfornano bravissimi matematici. Il futuro della tecnologia rischia di essere nelle loro mani. Ai tempi del maestro Manzi la televisione rimediava all'analfabetismo letterario d'una fascia bassa della popolazione. Mentre l'analfabetismo digitale è molto diffuso e colpisce anche la fascia alta, in particolare la Pubblica amministrazione. La sua digitalizzazione, lo dicono gli esperti, sarebbe determinante per rendere trasparente tutto ciò che passa nella contabilità e nei contratti eccetera, combattendo in questo modo la corruzione».
Ma la velocità di reazione è fondamentale: «affrontare l'attuale corsa contro la macchina ed essere più veloci. Concentrarsi su uno sforzo educativo, che dia strumenti di navigazione nella modernità ai nostri figli e nipoti, ed anche ai figli d'immigrati a scuola con loro, che parlano con accento piemontese o veneto o romano, ma non hanno quelle amicizie e relazioni che spesso nel nostro paese decidono una vita».
La saggezza in alcune righe contro certe logiche da galli nel pollaio, che marchiano ogni elemento di saggezza come anacronistico, perché semmai si afferma la logica febbrile dello scontro e della polemica nella convinzione che solo questo attiri dei consensi.