L'espressione «fare una marchetta» non è molto lusinghiera se rivolta a chi faccia il giornalista. L'origine stessa della parola lo dimostra, visto che la "marchetta" era il gettone che le prostitute di una casa di tolleranza ricevevano dalla tenutaria ad ogni prestazione, come riscontro ai fini del compenso cui avevano diritto. Per estensione si applica a chi si presta nel giornalismo a pubblicità mascherata da notizia vera e propria, senza che sia ben segnalato ai lettori o anche nel caso che trasformi il suo lavoro sul media in cui opera in un mascheramento della realtà a favore di Tizio o di Sempronio. Scrive sul tema pubblicità mascherata, con grande chiarezza, Marco Frongia sul sito professionereporter.eu: «Nei giorni scorsi, numerosi quotidiani e siti di informazione hanno dedicato spazio a un nuovo prodotto dolciario di un'importante azienda italiana».
«Cos'è successo? - si chiede Frongia - Niente di che: sono usciti sul mercato dei nuovi biscotti alla crema di cacao e nocciole. Tutto qui. Salutati, però, da una grossa mole di articoli su quanto fossero "attesissimi", "deliziosi", "fragranti" e quant'altro. In secondo piano nel pezzo, generalmente, qualcosa di simile a una notizia: quanto l'azienda abbia investito nel prodotto; se lo stabilimento sia stato costruito appositamente per il nuovo biscotto oppure no; quale sia il livello di innovazione nella produzione e dove sia localizzata la fabbrica. La notizia c'è, forse; ma di solito viene citata dopo un paio di capoversi che - più che per informare - sembrano pensati per invogliare il lettore a mandare a monte una dieta povera di grassi e zuccheri». Si tratta, anche se non citati esplicitamente, dei biscotti della "Ferrero" legati alla crema spalmabile "Nutella". Segno evidente di legami fra redazionali e campagna pubblicitaria, in quella che potrebbe essere considerata una zona grigia. Spiega bene l'articolo: «In questi casi, provare a capire se ci sia stata un'invasione di campo, da quello giornalistico a quello pubblicitario, può essere utile. Ma non per far presente ai colleghi se ci sia stata una violazione o meno nei propri doveri: il rapporto tra giornalisti e pubblicità è sancito molto chiaramente nella deontologia professionale (in sintesi: non ci si presta mai alla pubblicità, salvo per particolari iniziative benefiche e comunque gratuitamente), e tutti i colleghi lo conoscono già a sufficienza da sapere se si sia superato un limite oppure no». Il problema è la percezione del lettore! Frongia cita altri casi, il primo: «A fine settembre ne abbiamo parlato anche noi. La "Gazzetta dello Sport" pubblica un'intervista al gigante del tennis Roger Federer. Di fronte, però, il campione svizzero non si trova una giornalista, ma una collega del mondo dello sport: la sciatrice statunitense Mikaela Shiffrin. Scelta curiosa, se non si considera il contesto: l'incontro era sponsorizzato dal marchio di pasta che lo stesso Federer - insieme allo chef Davide Oldani e alla stessa Shriffin - promuove da qualche tempo. Domande non proprio scomode, quelle della sciatrice, tra le quali ne spunta una che ci permette di scoprire se Roger Federer preferisca la pasta o il riso. Vi lasciamo immaginare la risposta (e se per caso abbia precisato quale sia la sua marca preferita)». Secondo esempio tratto dal "Corriere della Sera": «L'articolo di spalla era dedicato al calendario 2020 della modella Taylor Mega, in allegato in uno dei prossimi numeri della rivista "For Men". Il pezzo (firmato) è accompagnato da una foto della protagonista insieme al direttore di "For Men", Andrea Biavardi, e all'editore Urbano Cairo. Giusto per aumentare le perplessità, quest'ultimo viene inquadrato come presidente "Rcs", benché fosse lì in veste di presidente di "Cairo Editore". Un probabile caso di autopromozione che non è piaciuto al Comitato di redazione del quotidiano: in una mail al direttore Luciano Fontana il "Cdr" si è chiesto «quale possa essere l'interesse dei lettori del "Corriere" nel leggere notizie del genere» e non ha nascosto il proprio «disagio» di fronte a questa situazione. Non conosciamo al momento la risposta del direttore». Il giornalista propone di conseguenza qualche suggerimento per i lettori: «Titolo. Una prima occhiata al titolo può essere già indicativa: cosa viene sottolineato? Il prodotto o la notizia che quel prodotto simboleggia? Ed era assolutamente necessario nominare il prodotto nel titolo? Foto. C'è una foto a corredo, o magari più d'una? Quanta rilevanza hanno il prodotto o il marchio nella foto? Notizia. C'è una notizia? Stiamo citando un determinato prodotto o azienda in relazione a un'innovazione particolare? Oppure perché magari è successo qualcos'altro di significativo (una violazione, una fornitura risultata tossica, un rischio di bancarotta, un'acquisizione da parte di un'altra azienda...)? E come viene raccontata? Fonte. La fonte della notizia è l'azienda stessa? Se sì, qual è il mio interesse di lettore nel venirne a conoscenza? Posso fidarmi di un articolo in cui si cita un (presunto) studio scientifico se è finanziato da un'azienda che in quel campo ha un interesse particolare? Fermare gli "articoli-marchetta", o perlomeno renderli sempre più rari, si può. La strada però difficilmente può passare solo per i Consigli di disciplina: se l'interesse dell'editore è quello di pubblicare uno spot mascherato da giornalismo, i modi per farlo sono tanti. E penalizzare i giornalisti (o gli stagisti!) che quei pezzi li preparano ha effetti molto limitati sul problema. Occorre lavorare anche e soprattutto su un altro fronte: quello dei lettori. Stare dalla loro parte significa anche questo: dar loro gli strumenti per essere meno vittime inconsapevoli di un modo scorretto di fare giornalismo. E, grazie al loro aiuto, sarà possibile risolvere molti dei mali che affliggono questo mestiere». La questione è molto interessante ed applicabile anche nella realtà del giornalismo locale e vale non solo per marche pubblicitarie ma anche per organizzazioni e pure per persone. Basta leggere certi articoli con le accortezze appena proposte e scoprirete facilmente dove si nascondano le marchette del caso.