L'unica cosa certa è che il tempo passa velocemente. Così, come se fosse un fulmine, domani mi trovo a festeggiare il mio sessantunesimo compleanno e che si scriva con le parole o con i numeri (61!) fa impressione lo stesso. Per non dire con le candeline... Tuttavia confesso di stare bene con me stesso e mentre lo scrivo faccio gli opportuni scongiuri, perché il passare del tempo significa anche vedere molte persone di tutte le età che non ci sono più e il famoso discorso della salute come elemento indispensabile cresce sempre più d'importanza.
Già, il tempo. Quel pozzo di citazioni che è Albert Einstein osservava con simpatia: «Tutto è relativo. Prenda un ultracentenario che rompe uno specchio: sarà felicissimo di sapere che ha ancora sette anni di disgrazie». Già, checché se ne dica, la speranza di avere ancora del tempo da trascorrere è importante, anche se poi mi riconosco a pieno nello scrittore Luciano De Crescenzo - mancato proprio quest'anno - che diceva: «La lunghezza effettiva della vita è data dal numero di giorni diversi che un individuo riesce a vivere. Quelli uguali non contano». Per cui quando si riesce a vivere a pieno, cercando nuovi stimoli e nuove cose da fare, probabilmente esiste ancora la benzina per fare percorsi interessanti. Sono nato alle ore 20.10 del 25 dicembre e pesavo - cosa che mia mamma novantenne ormai ricorda ad ogni visita medica a cui la porto al povero dottore che la visita - due chili e tre etti. Dovevo nascere nel 1959 ed invece sono nato l'anno prima, il giorno di Natale. Mia mamma venne accompagnata alla Maternità di Aosta (la mia generazione cominciava a nascere così e non più in casa con l'ostetrica) da mio papà, che fu autorizzato ad assistere al parto perché... veterinario. Con lui il carissimo dottor Rinaldo Thoux, poi mio medico di famiglia, che per entrare in ospedale venne dotato da mio papà di una cravatta, perché all'epoca i professionisti avevano obblighi formali. Guardo con affetto le foto del mio battessimo con mio zio Emilio Caveri con i suoi baffoni che tiene in braccio il frugoletto che ero ed ogni tanto mi immergo nel resto delle fotografie contenute in un cassettone, specie quelle che mi vedono protagonista. Le foto una volta non erano il profluvio attuale, reso semplice con il telefonino in mano, ma la loro rarità - e la meraviglia della stampa in bianco e nero di una volta - fissavano davvero momenti importanti e memorabili. Forse mancavano della spontaneità delle miriadi di scatti attuali, ma oggi - riguardandole - trovi le tappe della tua vita. Ognuno di noi non è altro che il frutto di due cose concomitanti: il patrimonio genetico che portiamo scritto nel nostro DNA, nel bene e nel male; e siamo poi il frutto delle esperienze umani e culturali che accumuliamo dal primo vagito in poi e forse persino prima, quando orecchiamo dalla pancia di nostra mamma. Questo mix fa di noi quello che siamo e ad ogni candelina in più sulla torta ci si accorge in maniera importante di quanto questo conti. Questo fatto ereditario mi ha sempre portato a scavare sul passato dei miei avi, per quanto possibile. E per il resto mi piace scorrere i volumi delle librerie che sono state importanti nelle mie case, pensando con riconoscenza a chi - specie mio papà - mi ha spiegato come la cultura non è una banalità, perché - assieme alle esperienze che si fanno - è un bagaglio che ti porti appresso che torna utile. E ciò vale anche in un'epoca in cui l'ignoranza è per alcuni una medaglia. Il fatto di essere nato a Natale, scampato il pericolo di chiamarmi Natalino, mi ha fatto sempre sorridere, visto che sono riuscito, spingendo spingendo, a centrare la data e, pur scherzandoci sopra, devo dire che, al di là della famosa questione dei regali concomitanti, questa combinazione è stata una piccola fortuna. Come più piccolo dei Caveri della mia generazione ho goduto di feste natalizie, a casa della mitica zia Eugénie, professoressa colta e piena di amore per me, in cui - giocoforza per via del pranzo natalizio che culminava con la mia torta di compleanno - quella casa storica di via Sant'Anselmo diventava per me con la famiglia una specie di nido in cui, come un pulcino, ero al centro dell'attenzione. Una sensazione che scalda il cuore ancora oggi, per quanto allora naturalmente non ne avessi piena consapevolezza. Questo poi vale per tutto il resto della vita. La saggezza della maturità nella vita è forse questo: capire che ogni tappa, bella o brutta della propria esistenza, serve a capire meglio le cose ed a strutturarsi con la propria personalità. Mentre vivi non lo capisci, quando hai accumulato anni sufficienti per avere più passato che futuro, allora ne acquisisci una piena consapevolezza. Intanto, Buon Natale.