Avevo un conoscente, personaggio molto simpatico, con una specie di tic linguistico, che consisteva nello sfornare, per ogni circostanza, un proverbio adatto all'uso. Lo faceva ormai con una sorta di autoironia, come se fosse il segno originale della sua firma. Al bar era un'autentica attrazione! Capita anche a me di adoperare queste frasette, che dovrebbero essere in ogni cultura - e di culture umane ce ne sono tante e molto diverse ma l'umanità cui si applicano è sempre la stessa - un segno della famosa saggezza popolare. A dire il vero, a scorrerne un campionario, c'è un po' di tutto. Ricordo l'incipit della dotta voce sulla "Treccani": "Il proverbio (dal latino "provĕrbiu(m)", da "vĕrbum", "parola") è oggetto di studio di numerose discipline: letteratura, sociologia, antropologia, dialettologia, storia delle tradizioni popolari (nell'insieme delle sue articolazioni, lo studio dei proverbi si dice "paremiologia")".
"Per la natura composita e il carattere quasi sempre metaforico del proverbio - si legge ancora - è difficile definire il suo statuto linguistico in modo univoco, distintivo rispetto a forme simili (in particolare l'espressione idiomatica "modi di dire" con le quali è stato spesso confuso. Dal punto di vista della struttura enunciativa il proverbio può definirsi una frase breve di forma lapidaria o sentenziosa, codificata nella memoria collettiva o tramandata in forma scritta, che enuncia una verità ricavata dall'esperienza e presentata come conferma di un'argomentazione, consolidamento di una previsione, ovvero come regola o ammonimento ricavabili da un fatto". Per cui in fondo il mio amico citato in premessa non aveva torto nell'applicare questa vastità di propositi derivabili dallo sterminato numero di proverbi alla realtà quotidiana. Ci pensavo, ricordando un proverbio: "Ofelè fa il to mesté", che significa "Pasticciere fai il tuo mestiere". Modo scherzoso per dire che ognuno dovrebbe parlare, scrivere e occuparsi di argomenti che conosce. Questa osservazione fatta da chi, come me, fa il giornalista rischia di essere auto-accusatoria, visto che in questo lavoro ci si occupa spesso - e queste mie annotazioni quotidiane ne sono un esempio - di argomenti vari sui quali esistono esperti con conoscenza ben superiori del rischioso "mordi e fuggi". A discolpa segnalo che chi fa il mestiere con serietà cerca sempre di avere buone fonti e di limitare il rischio di sciocchezze. Noto però che il rischio scherzoso del pasticciere da saggezza meneghina è un virus che esiste e colpisce. Basta guardare i "social", che sono specchio di realtà spesso distorte. Muore un poeta: commentano persone che mai hanno letto un suo verso. Esplode una bomba fra la folla: spuntano esperti che non hanno mai visto un ordigno. Si discute di una legge: ecco improvvisati giuristi che si buttano sul tema. Una marea di dilettanti allo sbaraglio vestono ruoli impropri. Così capita persino che scrivano libri su certi temi persone che non hanno la cultura necessaria alle spalle e lo stesso fanno conferenzieri che con coraggio da leoni affrontano argomenti su cui hanno solo una lieve infarinatura, ma molta sicumera. Fenomeno antico, certo, ma forse un tempo c'era maggior pudore, mentre oggi - anche sull'onda del palcoscenico dei "social" e della cultura pronta all'uso di "Wikipedia" - c'è chi si butta senza alcuna remora e anzi mette su il cipiglio delle grandi occasioni. Verrebbe da dire che "La mamma dei cretini è sempre incinta", tanto per restare sui proverbi. Ma, dimenticandosi il ruolo paterno, il proverbio è piuttosto maschilista. Meglio un graffiante Andrea Camilleri, che così chiosava: «Un autentico cretino, difficile a trovarsi in questi tempi in cui i cretini si camuffano da intelligenti».