Capitano episodi apparentemente insignificanti che finiscono poi, ripensandoci, per essere spunto di riflessione più illuminanti di saggi ponderosi e di lunghe discussioni. L'altro giorno sono salito in seggiovia con tre persone. Ero silente nel mio angolino che mi godevo il panorama innevato e quella calma che solo l'alta montagna sa dare, seguendo all'inizio distrattamente la fitta ed a tratti urlata conversazione fra i tre evidentemente amici, visto il tono confidenziale tra di loro. Erano di mezz'età, marcato accento piemontese, e - mi è parso di capire - anche colleghi di lavoro. L'impianto di risalita, per un problema di ghiacciatura che faceva scattare un relé, avanzava a singhiozzo per via di soste e ripartenze e dunque il tempo di risalita è durato molto, anzi troppo.
Questa scocciatura ha fatto saltare la mosca al naso ai tre, che hanno cominciato, pompandosi fra di loro, a mettere assieme i più odiosi luoghi comuni sul tema dei valdostani ingiustamente ricchi e privilegiati con ampio corollario sulle più recenti vicende giudiziarie - 'ndrangheta compresa - usate come una clava in modo indiscriminato. Al posto di vestire i panni di avvocato difensore, ho deciso di bere il calice amaro, incuriosito da questo crescendo di cattiverie, banalità e luoghi comuni con - a tratti - qualche scomoda verità servita in modo inappropriato. Nulla di nuovo, per carità, nella mia lunga carriera politica spesso ed in molti ambienti ho dovuto smontare, talvolta con calma e talora con veemenza, molte opinioni sulla Valle non corrispondenti alla realtà o contestualizzare certe situazioni per evitare giudizi sbagliati o semplici banalizzazioni. Mai come di questi tempi sarebbe necessario, senza sottostimare ogni elemento di critica se fondata perché nulla va taciuto e preso alla leggera, lavorare su quel patrimonio importante che è la reputazione di una comunità. Sapere che cosa si pensa di noi - pensando che coi "social" i venticelli diventano tempeste - è utile per capire la fondatezza dei giudizi, per correggere errori realmente esistenti, oppure per contrastare accuse inesistenti o autentiche denigrazioni. Non si tratta di un'operazione di marketing per edulcorare un'immagine, ma di reagire a quegli aspetti sproporzionati se non grotteschi. I valdostani nei periodi settecenteschi ed ottocenteschi hanno sofferto dell'immagine letteraria e pubblicistica del montanaro rozzo e incolto, poi - con l'affermazione dell'Autonomia - la fama è valsa per anni, fatta la tara di invidie e gelosie, a tracciare elementi positivi di civismo e di qualità della vita e di cui sono stato testimone e talvolta anche artefice. Eravamo testimonial di una montagna fattiva e operosa e pure innovativa. In questi ultimi anni l'immagine si è offuscata e gli aspetti negativi sono ormai largamente preponderanti e si sparge l'idea di un'Autonomia sprecata, sprecona ed immeritata. Solo aspetti oscuri, nessuna luce in una rappresentazione che trascende la realtà ed obbliga, con gli sforzi dovuti e con gli atti riparatori necessari, a ricostruire la nostra reputazione. E' un lavoro da prendere molto sul serio e non riguarda solo il mondo della politica, ormai avvilito da inchieste, condanne, personaggi spregiudicati o compromessi sbilenchi, giochi e giochini sulla scena o nei corridoi, ma riguarda e coinvolge una società valdostana piena di risorse contro rassegnazione, letargia ed un insidioso pessimismo che non serve a nulla. Il riscatto può far tornare a livelli dignitosi la nostra reputazione di valdostani.