Leggo che nel vicino Canavese torna in auge una vecchia polemica che riguarda la famose "Preghiera dell'Alpino", che viene normalmente letta alla fine delle esequie di chi è stato "Penna Nera". Anche in Valle, dove l'Associazione Alpini è un presidio importante sul territorio e nel volontariato, capita spesso e chi è stato Alpino ci tenga a questo ultimo saluto. Tra l'altro - lo ricordo incidentalmente - l'Associazione alpini con la leva obbligatoria è destinata ad una progressiva perdita di questo ruolo così significativo proprio per l'estinzione naturale dei propri appartenenti. L'esercito professionale ha di fatto perso il tradizionale legame territoriale e questo peserà in futuro sull'insieme dei valori dell'"alpinità". Parola che non esiste nei vocabolari, ma che l'Associazione alpini usa, intendendo "quell'insieme di buone idee, di disinteressate azioni, di coesione morale e di amicizia che supera i ceti sociali e che fa dei nostri iscritti un blocco abbastanza omogeneo".
Per capire la materia del contendere, che risorge periodicamente pur essendo in fondo una tempesta in un bicchiere d'acqua, comincerei con la cronaca di qualche tempo fa del "Corriere del Veneto", che si riferisce alle frasi da sempre nell'occhio del ciclone e oggetto di una riscrittura da parte del vescovo di Vicenza, Beniamino Pizziol, che sul giornale diocesano "La Voce dei berici" ne ha pubblicato niente di meno che una versione riveduta e corretta: «il passaggio "armati come siamo di fede e di amore" è proprio sparito; mentre l'invocazione a Dio onnipotente "rendi forti le nostre armi contro chiunque minacci la nostra Patria, la nostra Bandiera, la nostra millenaria civiltà cristiana" è stata non solo cassata ma anche cambiata. Ora la frase che secondo il presule vicentino dev'essere recitata ai funerali degli alpini celebrati in Chiesa suona così: "Rendici forti a difesa della nostra Patria, della nostra Bandiera e della nostra millenaria civiltà cristiana". La Diocesi di Vittorio Veneto a suo tempo invece di "a difesa" aveva scelto "di fronte a chiunque minacci la nostra Patria, la nostra Bandiera, la nostra millenaria civiltà cristiana". Questione di virgole, fatto sta che oggi come allora l'Ana si ribella. "Noi quella preghiera la recitiamo da sempre e non offende nessuno - prende posizione il presidente nazionale dell'Ana, Sebastiano Favero, che è trevigiano e si è sempre professato cattolico praticante - anzi, dice che le nostre armi sono fede e amore. Non ne cambieremo una virgola e non ci prestiamo a nessuna polemica inutile. Basta con questa storia, è ora di scrivere la parola fine su una diatriba insensata che appare come una strumentalizzazione. Magari è un testo datato - chiude Favero - ma riassume i nostri valori"». Il giornale cattolico "Avvenire" così puntualizzava questa vicenda: "Per decenni il testo, che risale a metà anni Trenta e ha assunto forma ufficiale nel 1949, è stato da più parti criticato e se ne sono invocavate modifiche, specialmente nel punto in cui diceva, invocando "Dio onnipotente, che governi tutti gli elementi: rendi forti le nostre armi contro chiunque minacci la nostra Patria, la nostra bandiera, la nostra millenaria civiltà cristiana". Parole modificate nell'attuale versione, approvata dall'Ordinariato Militare, in "Dio onnipotente, che hai creato e redento l'umana famiglia, insegnaci con il Tuo amore e con la fede in Te a ben operare per la pace tra i popoli!" e "rendici forti a difesa della nostra Patria, della nostra Bandiera e della nostra millenaria civiltà cristiana". Vale forse la pena ricordare che la "benedizione delle armi" era già stata espunta nel lontano 1972 su esplicita richiesta dell'allora cappellano capo del 4° Corpo d'Armata Alpino, monsignor Aldo Parisio. E fuori è rimasta, da quasi cinquant'anni. Vero è che nel 1987 il Consiglio direttivo nazionale dell'Ana stabilì che la Preghiera fosse preferibilmente recitata nella forma originale del 1949 ma solo quando alle cerimonie fossero presenti unicamente iscritti all'Ana". Se ho ben capito la preghiera più "militarista" vale anche per gli Alpini in servizio, ma non è facile raccapezzarsi. Per cui, alla fine, il testo "buono" dovrebbe essere questo:
La Preghiera dell'Alpino (versione approvata dall'Ordinariato Militare) «Su le nude rocce, sui perenni ghiacciai, su ogni balza delle Alpi ove la Provvidenza ci ha posto a baluardo fedele delle nostre contrade, noi, Alpini d'Italia, sostenuti dal dovere pericolosamente compiuto, eleviamo l'animo a Te, o Signore: custodisci e proteggi le nostre famiglie lontane; guidaci ad essere degni delle glorie dei nostri avi. Dio onnipotente, che hai creato e redento l'umana famiglia, insegnaci con il Tuo amore e con la fede in Te a ben operare per la pace tra i popoli! Salvaci dal gelo implacabile, dai vortici della tormenta, dall'impeto della valanga; fa' che il nostro piede posi sicuro su le creste vertiginose, su le diritte pareti, oltre i crepacci insidiosi; rendici forti a difesa della nostra Patria, della nostra Bandiera e della nostra millenaria civiltà cristiana. E tu, Madre di Dio, candida più della neve, tu che conosci e raccogli ogni nostro anelito e ogni nostra speranza: custodisci e proteggi i tuoi Alpini; volgi il tuo sguardo alla sofferenza e al sacrificio di tutti i caduti; Benedici!».
Quel che colpisce naturalmente non è tanto la disputa sulle singole espressioni - che è pure quella che crea più polemiche - quanto l'insieme della preghiera, che risente di un lessico e di un retorica buona per gli anni Trenta e che di fatto all'orecchio attuale suona come assai complessa e molto datata. Ma immagino che una sua riscrittura, che tenga per esempio conto che gli Alpini in congedo operano con grande merito nel volontariato e che i professionisti calcano scenari di guerra di tutto il mondo, sarebbe rigettata nel nome della tradizione e sarebbe come mettere un dito in un vespaio.