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21 gen 2020

Camini, pellet e l'aria inquinata

di Luciano Caveri

Capita di avere amici che abitano nelle grandi città del Nord e frequentano località turistiche della nostra Valle, che dicono con franchezza di salire in Valle d'Aosta, specie d'inverno, per respirare un'aria di miglior qualità di quella che respirano quotidianamente dove stanno. Anche se sappiamo che, specie nel fondovalle ma anche in qualche paese in alta quota, anche da noi purtroppo ci sono problemi di inquinamento. Anche ad Aosta città, con certe condizioni, ci si accorge di primo acchito, respirando, che qualcosa non torna e non mi metto ad elencare i problemi di salute che ne conseguono. Tra l'altro, mentre scrivo, osservo fuori dalla finestra quella cappa grigiastra che staziona in modo inquietante.

Ritrovo quanto scrivevo nel 2013, tanto per capire che certe questioni uscite in queste ore sono ricorrenti: «"In Pianura Padana c'è troppo smog e l'Europa sanziona l'Italia". La cattiva notizia non stupisce chiunque abbia visitato, in diversi mesi dell'anno, qualcuna delle grandi o medie città del Nord Italia e sia rimasto colpito dalla situazione. Basta respirare per capire che non sono delle storie, ma un degrado che crea sconcerto nell'Unione europea, mentre, nelle zone interessate, ci si è quasi abituati a convivere con un'aria nociva. Ma malattie di vario genere, alcune di evidente gravità, incombono sui cittadini, specie i più a rischio, che sono anziani e bambini. (…) Quel che colpisce è che in questo, accanto alle responsabilità preminenti del traffico e dell'inquinamento di origine industriale, c'è in prima fila, sul banco degli imputati, uno degli emblemi della valdostanità e delle zone di montagna: il bel caminetto scoppiettante, simbolo millenario del focolare domestico. Mezzo di riscaldamento tradizionale, tornato in auge con la crisi economica, malgrado i rischi derivanti dalle polveri sottili e dagli ossidi di azoto, contenuti nel fumo di combustione. Alla legna comune, che ha variabili gradi di pericolosità, si somma la diffusione di pellet, di legno lavorato e di cippato». Trovo parecchi dati che dimostrano come, nella stagione fredda, il contributo percentuale della combustione delle biomasse legnose alla massa di PM10 in atmosfera in quei giorni raggiunge anche il sessanta per cento e circa il quaranta per cento nel caso del PM2,5. Se poi guardiamo al PM10 primario (cioè a quello tutto quello emesso e non solo a quello che si accumula in atmosfera), vediamo che il settanta per cento viene dal riscaldamento domestico e di questo più del 99 per cento deriva dalla combustione di legna. Le biomasse d'altra parte sono la fonte rinnovabile che più contribuisce al mix energetico italiano. Nel 2017 hanno dato 10,9 Mtep di cui otto nel termico, contro ai quattro, tutti elettrici, dell'idro, seconda fonte per importanza, dicono i dati del "Gse - Gestore servizi energetici". Con bilancio neutro in termini di emissioni CO2, legna, pellet e le altre biomasse sostituiscono dunque tantissima energia da fossili. Però - osservano gli esperti - resta ovvia la strada obbligata dunque di bruciare le biomasse in maniera più efficiente e pulita. Segnalo ancora quanto affermato dall'"European Respiratory Society" sull'inquinamento indoor, fra gli altri, prodotto dalla combustione di legno come causa del cancro al polmone. Certo, con le dovute accortezze, la legna ed i suoi derivati sarebbero utili come combustibile in Valle, se si fissassero obblighi di consumo di una percentuale di prodotto locale che non so bene come si potrebbe controllare se non nei grandi impianti nati in alcuni Comuni, per contrastare l'impazzimento del bosco sulle nostre montagne. Ho già citato in passato la rivista della Regione "Environnement" e che cosa scrisse Christian Chioso: «I dati storici confermano, per quanto riguarda il territorio valdostano, questo andamento di crescita della superficie boscata complessivo: il primo inventario forestale è del 1795 e gli ettari misurati ammontavano a 58mila; la superficie, in seguito, è drasticamente diminuita, arrivando alla fine del XIX secolo a circa 25mila ettari. Il XX secolo ha visto una notevole espansione del bosco soprattutto nel secondo dopoguerra, arrivando ad una superficie di circa 90mila ettari nel 1999». Vent'anni dopo gli ettari sono quasi centomila! Rispetto alla superficie potenzialmente occupabile (tolte le zone di alta quota), che è pari a 195.600 ettari, le foreste occupano ormai il 49 per cento della superficie, tenuto conto che l'altitudine media della regione supera i 2.100 metri. Teniamo conto che proprio l'altitudine di "salita" del bosco sta cambiando con le modificazioni climatiche e questo minaccerà molte zone prative. Per il bosco ricordo come il 61 per cento siano di proprietà privata, mentre il 39 per cento siano di proprietà pubblica (per lo più Comuni e Consorterie). La legislazione regionale in materia e poco applicata e finanziata e l'abbandono alla rinaturalizzazione selvaggia e pericolosa incombe con tutti i suoi rischi. Per cui, accanto al "nostro" idroelettrico, energia davvero pulita, sarebbe bene sfruttare il legname locale per contrastare anche in questo modo l'eccesso di presenza dei boschi, ma tenendo d'occhio l'inquinamento e lavorando - come dicevo - per impianti che producano meno particelle e gas nocivi che finiscono in atmosfera e poi, purtroppo, nei nostri polmoni, causando gravi malattie. Quando si pubblicizza una svolta green in Valle sono questi i temi veri su cui discutere.