Ci si lamenta della presenza sui "social" degli odiatori ed anche in Valle d'Aosta ce ne sono alcuni, specie su "Facebook", le cui gesta sono ormai risapute e sono convinti di essere in questo loro ruolo dei protagonisti. Tuttavia non si può che compatire chi ha fatto dell'odiare il proprio credo e lo fa con impegno compulsivo, stando di vedetta sul Web pronto a intervenire dall'alto della propria autoconsiderazione. Per qualcuno di loro vale l'intelligente osservazione di Erich Fromm: «Non c'è forse fenomeno che contenga così tanto sentimento distruttivo quanto l'indignazione morale, che permette all'invidia o all'odio di manifestarsi sotto le spoglie della virtù».
Già perché questi "odiatori da tastiera" (ma ce ne sono anche in Consiglio Valle), versione moderna dell'odiatore da bar o da assemblea, assurge al ruolo improbabile di moralizzatore delle vita e delle cose pubbliche. Conta poco da quale pulpito arrivi la predica, perché scavare nelle loro esistenze offre squarci sconcertanti. Infatti si prendono talmente sul serio da essere infine considerati, da quella parte meno accorta di opinione pubblica, come dei moderni Savonarola, fustigatore dei costumi, cui dare qualche margine di credibilità Personalmente, invece, credo che vadano sepolti nella loro solitudine. Ha ragione Barbara Massaro, quando scriveva su "Panorama": «Regolamentare il fenomeno punendo i responsabili dell'odio social non è facile. Servirebbero leggi globali difficili da applicare visto che, a seconda delle latitudini, un insulto può essere più o meno pesante e quindi il reato più difficile da stabilire. Quello che servirebbe è una cultura della civiltà online insegnando a scuola il rispetto per il prossimo e la dignità delle persone che vivono dall'altra parte della tastiera. Una sorta di educazione civica 2.0 della quale si sente profondamente la mancanza». Ma il fenomeno va compreso e spiegato per sminare certi protagonismi. Scriveva qualche anno fa Michela Proietti sul "Corriere della Sera" sugli haters (odiatori): «Secondo l'Urban Dictionary l'hater "è qualcuno che non è per nulla felice del successo di un'altra persona. Non desidera essere la persona che disprezza, ma vuole solo colpirla duramente". Ma è davvero così? Nel volume "Persone che scompaiono. Vergogna e apparire" (Borla) lo psicanalista Benjamin Kilborne annota che "l'invidia gioca un ruolo importante nella difesa dalla vergogna per il difetto: piuttosto che sentire che si è noi stessi a mancare di qualcosa, ci si può sentire invidiosi di qualche altra persona che ha qualcosa che noi non abbiamo... Non sono io che manco di qualcosa, ma sei tu che hai quello che voglio"». E prosegue più avanti. citando il sociologo Franco Ferrarotti, quando osserva che «"Non si invidia più una singola caratteristica, è un'invidia esistenziale, e la rete vive un momento incontrollabile, in cui ognuno può dire tutto ciò che gli passa in mente". Ma difendersi è possibile. "La sovrana indifferenza è la risposta a chi cerca un ruolo attraverso l'insulto". La formula magica l'ha scritta un invidiato di rango come Dante, guardato di traverso da Cecco d'Ascoli. "A ogni attacco, ricordiamoci del verso: "segui il tuo corso e lascia dir le genti"». Il peggio per l'odiatore è dunque l'indifferenza verso il loro sbracciarsi grossolano in Rete, perché devono fare a meno di godere della luce riflessa e il buio è la cupa rappresentazione della loro vita.