Ci vorrebbe un bravo economista per calcolare quanti soldi europei siano arrivati in tanti anni per alimentare l'Autonomia valdostana e ciò sbugiarderebbe chi sputa sull'integrazione europea. Anzi, ci sarebbero ancora parecchie risorse da scovare, ma oggi in molti sfuggono all'impegno di adoperarle per evitare responsabilità. Nel frattempo gli Affari europei, Dipartimento della Regione un tempo fiore all'occhiello, vive senza avere un indirizzo politico autorevole e l'Ufficio di Bruxelles agonizza. Non abbiamo un parlamentare europeo ed il membro al "Comitato delle Regioni" è solo supplente. E pensare che il pensiero autonomista valdostano ha l'europeismo nel DNA.
Tempo fa avevo fatto uno schema:
1930 - 1940: in questi anni due autori valdostani, l'Abbé Joseph Bréan ed Émile Chanoux, spiccano con i loro scritti dalla forte connotazione europeista, che pongono le Alpi in una prospettiva futura di centralità nel Vecchio Continente. In epoca di totalitarismi, una visione grandiosa. 1940 - 1950: i pensieri sulla montagna, anche in chiave europea, si affinano con valdostani e valdesi che lavorano sulla "Dichiarazione di Chivasso". Nella Costituzione italiana (articolo 44) si accenna alla montagna e la Valle d'Aosta, Trento e Bolzano ottengono l'Autonomia anche perché zone montane. 1950 - 1960: nascono i "Bim - Bacini imbriferi montani" che ottengono timidi canoni per lo sfruttamento dell'idroelettrico. Arriva il "Trattato di Roma", punto di partenza senza il quale nessuna integrazione ci sarebbe stata. 1960 - 1970: inizia pian piano ad emergere la "politica regionale", che consente al diritto comunitario di guardare timidamente alla democrazia locale e non solo agli Stati. Sarà poi Jacques Delors a dare la scossa "regionalista". 1970 - 1980: arrivano in Italia le Comunità montane, ma con una perimetrazione risibile con molta... non montagna e questa stortura oggi è tornata indietro come un boomerang e le Comunità vengono soppresse quasi dappertutto. Nascono anche le Regioni ordinarie ed i montanari, anche alpini, sperano. Il "Consiglio d'Europa", con la "Convenzione di Madrid", fonda la cooperazione transfrontaliera contro i confini "cicatrici della Storia". 1980 - 1990: emerge in questi anni, anche se si dispiegherà nei periodi successivi, la "Convenzione Alpina". Delle Alpi, senza alcun coinvolgimento delle popolazioni interessate e dei loro eletti, si occuperanno i ministri dell'Ambiente. Un'utile Convenzione internazionale parte con il piede sbagliato e risulterà inutile, specie per il disinteresse dell'Unione europea. 1990 - 2000: arriva "Interreg", fondo strutturale prevalentemente transfrontaliero. Vengono approvate nel 1994 l'attesa "legge sulla montagna" e nel 1999 la "legge sulle minoranze linguistiche", utile anche per certe minoranze alpine. 2000 - 2010: con "Spazio Alpino" si perimetrano in modo eccessivo le Alpi (c'è l'Alsazia!) con un fondo strutturale. Il 2002 è l'"Anno internazionale delle Montagne": si scopre un mondo nel mondo. Arriva poco dopo il "Gect - Gruppo europeo di cooperazione territoriale", voluto dall'Unione europea e anche le Alpi ne approfittano per le Euroregioni del caso. La Convenzione per la "costituente europea" inserisce nel testo le "zone montane", ma ci vorrà il "Trattato di Lisbona" per il riconoscimento di questa specificità (articolo 174) nel quadro della coesione territoriale.
Aggiungerei nel frattempo la nascita della macroregione alpina "Eusalp" che langue malgrado fosse una chance enorme, mentre è sparita "AlpMed" (assieme a Piemonte, Liguria, Auvergne-Rhône-Alpes, Provence-Alpes-Côte d'Azur con i Cantoni Romandi alla finestra), vale a dire l'Euroregione che la Valle ha condotto per anni in una logica di prossimità. Intanto bisognerebbe lavorare sul nuovo periodo di programmazione 2021-2027 e capire come investire i soldi che in più arriveranno da Bruxelles per il dopo pandemia. Ecco perché mai come ora dobbiamo avere un'Autonomia europeista, lasciando aperto il dibattito su quanto l'Unione europea attuale abbia un deficit di democrazia e ci sia un ruolo marginale per le Regioni, per non dire dei silenzi colpevoli su vicende come quella catalana. Ma questo non significa seguire correnti antieuropeiste intestinali o stupidaggini come l'uscita dall'Euro. E aggiungerei, infine, che un europeista contrasta per natura chi guarda con simpatia a dittature come Russia e Cina.
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