Vabbè sono candidato di MOUV' in Vallée d'Aoste Unie, lista costruita con "VdA Ensemble". L'ultima volta che mi presentai fu nel 2008 e dunque non ho più messo la mia faccia in una competizione da dodici anni. E la scelta di restare in panchina dal 2013, tornando al mio lavoro, mi pare sia stata salutare. Ora torno nella tenzone e penso di non essere né un revenant né un dinosauro, ma uno che ritiene di poter dire la sua in un periodo complesso per il futuro della Valle d'Aosta, mettendo a disposizione l'esperienza accumulata in diversi ruoli. Fra elezioni regionali e comunali in contemporanea ci saranno oltre mille candidati, cui vorrei dedicare un articolo di qualche anno fa del giornalista e scrittore Paolo Fallai nella sua rubrica sulle parole sul "Corriere della Sera", che verte proprio sul termine "candidato".
«Nessun dubbio sulla provenienza latina della parola - scrive - già nell'antica Roma si chiamava "candidatus" (letteralmente "vestito di bianco") chi si presentava alle elezioni per una carica politica o amministrativa. E questo proprio perché questi concorrenti, per farsi riconoscere, dovevano indossare una toga di un bianco splendente. Una veste bianca il più possibile - tanto da utilizzare speciali "sbiancanti" per ottenere il massimo effetto - per sottolineare il candore e quindi la purezza di chi la indossava. I nostri antenati avevano capito presto che il bianco comprende tutti i colori dello spettro luminoso (il suo opposto è ovviamente il nero) e da sempre l'hanno accostato alla purezza, alla luce, alla speranza. E' evidente che la nascita delle candidature ha portato, fin dall'antica Roma a quella delle promesse, delle clientele e della comunicazione elettorale. Tra le molte e straordinarie testimonianze che ci ha regalato Pompei, vi sono bellissime iscrizioni parietali che riportano le esortazioni a votare questo o quel candidato come "Vi prego di eleggere Giulio Polibio edile, fa del buon pane"». Insomma, molte cose sono rimaste ed oltre alla veste candida, anni fa, ci furono le "mani pulite" e vien da sorridere ora che le mani non si possono stringere, ma semmai frizionare con i famosi gel. Ma torniamo all'articolo: «Se queste sono le premesse, accettare l'impegno di una candidatura dovrebbe comportare sempre la coscienza delle qualità necessarie prima per chiedere la fiducia degli elettori e poi per occupare una determinata carica. Inutile dire che accanto a numerosissime candidature ineccepibili, la storia politica ne ha viste avanzare di tutti i tipi tanto da aver creato, nell'agone dello scontro tra opposte fazioni, delle sottocategorie come gli "impresentabili". D'altronde se la campagna elettorale ha successo, il candidato passa ad uno stato altrettanto impegnativo, quello di "eletto". Che non è solo il participio passato del verbo "eleggere", ma qualifica in modo preciso chi è stato scelto per una carica con tutto il peso significato figurato da questa parola. Come ci ricorda il vocabolario "Treccani", nel linguaggio religioso, nell'antico Testamento ci si riferisce agli ebrei come il popolo eletto; e nel linguaggio teologico gli eletti sono i predestinati alla grazia alla gloria eterna». Ciò significa che alla nobiltà della candidatura si sussegue, per chi ce la farà, il ruolo importante di eletto, che dovrebbe essere onorato con impegno e dedizione.