Per me il "caso Caminiti" si riassume nel vivo dissenso espresso dalla Lista verso la sua scelta di far parte del gruppetto ritrovatosi sotto il Tribunale di Aosta per solidarizzare, nel suo caso, con Marco Sorbara. Personalmente trovo quanto avvenuto inconcepibile e persino nocivo per la difesa delle persone sotto processo. Il caso vuole che passassi nella zona, ma non in vista di via Ollietti, e scambiassi un applauso lontano come chissà quale festeggiamento. La scoperta successiva da una notizia di cronaca mi ha lasciato esterrefatto. Mai ad Aosta avrei pensato a qualcosa del genere. Vincenzo si è scusato con la Lista, segnalando il suo impegno contro la mafia attraverso anche il suo lavoro da consigliere comunale, ma nel contempo è tornato a dire che era null'altro che un modo per dimostrare la sua amicizia per Sorbara. In un suo messaggio inviato ai colleghi di Lista, che in vario modo avevano criticato i fatti e lamentato le conseguenze per la credibilità di tutti, ha precisato che per non creare disagio non parteciperà a nessun incontro pubblico.
Seguo il processo in corso ad Aosta nelle cronache puntuali di Christian Diémoz su "Aosta Sera", attendendo la sentenza prevista per la settimana prossima, perché c'è bisogno di sapere di più, almeno con un giudizio di primo grado. So bene che non farà venir meno la presunzione di innocenza, che è un principio del diritto penale, secondo il quale un imputato è considerato non colpevole sino a condanna definitiva. Chiarisco che la "presunzione d'innocenza" non è sancita nella Costituzione Italiana, nonostante alcuni autori la rinvengano nell'articolo 27, comma 2, che recita testualmente: "l'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva". In realtà questa norma non inquadra una presunzione di innocenza o di non colpevolezza, ma un divieto di presunzione di colpevolezza e non mi inoltro nel perché non sia questione di lana caprina. Scendo dal piano giuridico a quello politico e morale, che sono altra cosa in questo momento e riguardano non solo la causa in corso ma un complesso più vasto di vicende, per chiarire quanto sulla 'ndrangheta non si scherzi e si debba essere attenti e vigili. Lo sostenevo qui sul blog nel 2012, quando ero semplice consigliere regionale e molte inchieste non erano ancora emerse: «Non possono esistere margini d'ombra sulla presenza e sulle interazioni della 'ndrangheta in Valle d'Aosta, perciò è bene capire che cosa sia successo. Non si tratta di drammatizzare, ma semmai di avere una mappa chiara su affari e appoggi. (...) Mio zio Severino Caveri, a metà degli anni '60, con espressioni che oggi potremmo bollare come "politicamente scorrette", denunciò in un suo articolo la "spinta" all'immigrazione calabrese voluta dall'allora segretario del Partito socialista Francesco Froio, "paracadutato" in Valle per pilotare in parte la fine della "Giunta del leone" ed il cui curriculum negli anni successivi è illuminante. Quel che preoccupava mio zio, che bollare come xenofobo è ridicolo per chiunque legga l'insieme dei suoi "scritti umanisti", erano i metodi che c'erano dietro questa scelta. Il tempo gli ha dato ragione: ad una vasta immigrazione onesta e ormai integrata con cui ho rapporti di amicizia e stima da anni, fa da contraltare una parte pur circoscritta che invece ha aderenze con la malavita organizzata in un'attività ormai bicefala fra Calabria e Valle d'Aosta (con legami con il resto del Nord). Far finta di niente sarebbe ridicolo e spero che prima o poi emerga - per un'elementare ragione di chiarezza - chi, nel mondo della politica, ha coltivato amicizie, cercato voti, compartecipato ad affari, creando un "ponte" pericolosissimo per il futuro della nostra comunità. Da questo punto di vista spero che si scavi nella "nuova" immigrazione, quella ancora in corso dalla Calabria in questi anni, che potrebbe aiutare in alcuni casi a mappare i link esistenti. Le numerose pubblicazioni sulle infiltrazioni mafiose in Regioni del centro-nord dimostrano come il fenomeno prima si radichi e poi si diffonda come un erba velenosa e infestante e di come, senza rapidità di risposta, gli esiti possano essere disastrosi. Specie se i metodi mafiosi finiscono per penetrare in profondità con un rischio di condizionamento delle decisioni politiche e amministrative, che poi - dovendo essere realisti - significano soldi e ancora soldi. Purtroppo sporchi». Hanno detto sulla 'ndrangheta Nicola Gratteri ed Antonio Nicaso in un loro libro: «Da organizzazione criminale globalizzata, la 'ndrangheta è divenuta un "brand", un marchio, che vede nell'adattabilità e nell'affidabilità i motivi principali del suo successo. Una holding del crimine che vive protetta, quasi rinserrata nei legami di sangue, ma che è riuscita anche a cogliere in anticipo su governi e grandi corporation multinazionali il trend della globalizzazione. High tech e lupara». Poche settimane fa - ed ero stato buon profeta - ricordavo Roberto Saviano, quando scrisse: «La nuova omertà, figlia della cultura mafiosa, non nega l'esistenza delle mafie, dice semplicemente: "Sono cose che si sanno". Ciò che anni fa si declinava con "tutte balle, non esiste la camorra" o "la mafia è un'invenzione dei giornali", oggi si esprime dicendo "lo sanno tutti". Le nuove generazioni dell'omertà non negano, ma banalizzano, portano tutto a una dimensione fisiologica del fenomeno». Sento presente anche in Valle questa banalizzazione, mentre forse bisognerebbe chiedersi cosa c'è a piani più alti di quelli già oggi illuminati dagli inquirenti e su cui deve pronunciarsi per la prima volta un Tribunale. Diceva Oriana Fallaci, senza peli sulla lingua per difendere le sue idee: «Vi sono momenti, nella Vita, in cui tacere diventa una colpa e parlare diventa un obbligo. Un dovere civile, una sfida morale, un imperativo categorico al quale non ci si può sottrarre». Per dire che il piano politico deve scavare dentro il fenomeno e trovare soluzioni, sapendo che i giudici fanno i giudici e nella separazioni dei poteri il Legislativo e l'Esecutivo hanno il proprio ruolo. Lo scopo comune: combattere il malaffare e mai transigere contro le mafie, che profittano di tutto, anzitutto delle persone con i loro interessi, le loro debolezze e le loro vanità.