Quando chi si occupa di politica e di Amministrazione osserva lo scenario desolante della crisi economica innescata dalla pandemia, riflette necessariamente su due questioni. La prima è così riassumibile: quanto costa tutto questo? E' naturale farlo anzitutto in termini economici per chi deve guardare i conti pubblici e l'enorme iniezione di denaro per limitare i danni ed evitare che tutto crolli e si inneschino ulteriori problemi sociali di disoccupazione già pesanti e di povertà in crescita. Nella piccola Valle d'Aosta stiamo cercando di farlo, settore per settore, e tremano i polsi quando si fanno le somme in soldi ed in degrado. Sapendo che da soli, senza solidarietà nazionale ed europea, la ferita in alcuni settori da soli non sarà sanabile. Ma non è solo questione di soldi e di tenuta della società. Esiste un male più insidioso, che viviamo tutti nel quotidiano. E' il degrado crescente della socialità cui siamo abituati. Clausure e chiusure hanno riflessi umani e psicologici i cui costi non sono calcolabili.
Penso ai più vulnerabili: gli anziani e i giovani. Gli anziani sono quelli che rischiano di più la pelle ed avere contatti con loro è rischioso, perché li si può contagiare e ciò accentua le solitudini. Luoghi come le microcomunità sono state le più colpite da contagi e morti e sono diventati un simbolo terribile. Immagino quali paure e quali incubi ci sono, senza spingerci troppo nella descrizione di quelle morti solitarie nelle rianimazioni senza un ultimo conforto delle persone care. I giovani scoprono anch'essi il peso di una solitudine e il caso più macroscopico è, per chi è stato a scuola, la logica difficile del distanziamento e della mascherina anche al banco. Peggio per i più grandi da mesi in didattica a distanza senza quel calore che solo la vicinanza con i propri compagni può assicurare. Ma questa disumanizzazione la vive ciascuno di noi nei suoi ambienti di lavoro. Possiamo celebrare la retorica dello "smart working", delle riunioni in remoto di fronte ad uno schermo, degli incontri a distanza senza riconoscere i reciproci volti e gli esempi si possono moltiplicare. Ma questi, con questi surrogati della realtà precedente, sono espedienti che vanno sempre più stretti. Da qui la seconda domanda: quanto durerà? Qui si entra su un terreno che appare poco solido e pieno di inciampi, che pesa sul nostro orizzonte e questo non fa per niente bene. L'assenza di tempi e confini mi colpisce molto come persona e nella mia attività di politico. Noto come gli esperti, in prevalenza medici, siano ondivaghi e lo si vede con chiarezza nei percorsi che stiano seguendo con scelte contraddittorie e improvvisi saliscendi. Immagino che sia così forzatamente e nessuno di conseguenza sia in grado di indicare una fine. Questo vale anche sull'esito delle vaccinazioni, come presupposto per l'eradicamento del virus, in un clima di incertezza sui tempi e purtroppo sul numero di persone che non vorranno vaccinarsi, rallentando con la loro scelta l'uscita dal tunnel. Mantenere i nervi saldi non è facile, ma non farlo è solo dare un vantaggio al virus e ai catastrofisti.