Da domani, tranne fatti rilevanti di cui mi sentissi obbligato ad occuparmi, apro - come già avvenne in passato - una pausa nel cuore dell’estate. Trovo utile, esattamente come avviene con le vacanze quando ci si ristora dalla quotidianità, aprire una spazio libero ai propri pensieri. Abbandonare per un attimo il lavoro, in un periodo che resta per nulla banale per molte ragioni e lo stesso impegnativo, consente digressioni che confortano. Mi occuperò di parole dimenticate o sottostimate. Ha scritto la poetessa Emily Dickinson: “Non conosco nulla al mondo che abbia tanto potere quanto la parola. A volte ne scrivo una, e la guardo, fino a quando non comincia a splendere”. Per questo credo che ognuno di noi abbia delle sue parole preferite o persino a rischio ripetizione. Capita a qualunque età, anche dopo lo straordinario periodo dell’apprendimento che si scopre soprattutto con i propri figli, di trovarne di nuove e di scoprirne l’utilità. Sulla parola parola ha scritto Stefano Bartezzaghi: “Parola, si sa, è una parola e fra le parole è una delle meno univoche. La parola è il vocabolo ("ossesso è una parola palindromica") ed è l'impegno del locutore nel proprio discorso ("ti do la mia parola"); è la facoltà ("il dono della parola") ed è il diritto di parlare ("do la parola a ..."); è un'affermazione, una presa di posizione nel discorso ("avere l'ultima parola") ed è un indirizzo ("la parola del maestro"); è il vacuo succedaneo dei fatti ("solo a parole") ed è un modo di parlare ("avere la parola facile"): nella sua variabilità semantica, la parola parola allude alle virtù oscillatorie del linguaggio”. E bisogna ancora ricordare con Gabriel Garcia Marquez: “Le parole non vengono create dagli accademici nelle accademie bensì dalla gente per strada. Gli autori dei dizionari le catturano quasi sempre troppo tardi e le imbalsamano in ordine alfabetico, in molti casi quando non significano più ciò che intendevano gli autori”. A me piacciono le parole. Mi piacciono quando scrivo e mi trovo a doverle pesare nella speranza di essere efficace. E mi piace seguirne il flusso quando mi capita di parlare in pubblico non solo nella speranza di comunicare bene quanto penso, ma per il gusto di poterle inanellare nel rapporto che si crea con le persone che ti ascoltano. Gianni Rodari, con una sua filastrocca diventata famosa specialmente nella versione musicata e cantata da Sergio Endrigo, ha dato una definizione che va davvero al di là di ogni eccesso intellettualistico: “Abbiamo parole per vendere, parole per comprare, parole per fare parole. Andiamo a cercare insieme le parole per pensare. Abbiamo parole per fingere, parole per ferire, parole per fare il solletico. Andiamo a cercare insieme le parole per amare. Abbiamo parole per piangere, parole per tacere, parole per fare rumore. Andiamo a cercare insieme le parole per parlare”. La scelta delle parole che qui verranno finisce per essere abbastanza casuale, più o meno sintetica e certamente soggettiva, senza essere pretenzioso. Perché, per fortuna, con le parole si può anche giocare.