La scomparsa del Carnevale è avvenuta senza grande clamore ed è sancita ufficialmente dall'arrivo della Quaresima. Mentre l'anno scorso in Valle d'Aosta le manifestazioni si svolsero per il rotto della cuffia, mentre già nel vicino Canavese si tirò giù la saracinesca, quest'anno nulla da fare. Nell'anno in cui tutti noi indossiamo le mascherine - che suoni come un paradosso! - niente maschere. Se per una larga parte della Valle questo non ha comportato danni collaterali, assicuro l'esistenza di un vero e proprio lutto laddove i giorni di Carnevale vengono vissuti con grande concitazione. Penso a Pont-Saint-Martin dove al "diavolo", questa volta con mascherina, è stato appiccato il fuoco in un clima surreale senza sfilate, carri e bagordi (tranne "l'incidente diplomatico" presso il Municipio…). Mi riferisco alle maschere della Coumba Freida, dove l'elemento cardine è la fisicità delle maschere coloratissime, che fanno gazzarra e se ne fanno di tutti i... colori. Il "covid-19" ha congelato tutto e rinviato a tempi migliori.
L'acme della depressione è stato raggiunto nel Carnevale storico del mio paese Natale, Verrès, dove ai piedi del castello e dentro il castello si consuma dal dopoguerra un vissutissimo Carnevale storico. Una creatura più introflessa che estroflessa, nel senso che più che rifarsi ai turisti in vista, si tratta di una festa paesana in cui a travestirsi in panni quattrocenteschi è una larga parte della cittadinanza attorno ai personaggi della contessa Catherine de Challant ed il suo sposo - morto tra l'altro mentre accorreva in suo soccorso - Pierre d'Introd, che la nobile sostituì con un terzo marito. Questa Catherine resta negli annali perché contestò, in verità non riuscendoci, la legge salica che le aveva impedito la successione nel feudo, riservata ai soli maschi dell'asse ereditario. Il Carnevale verreziese ruota attorno al fatto che un giorno sarebbe scesa dalla rocca per un ballo in piazza. L'aspetto singolare e illuminante lo scenario del dopoguerra, è che proprio dopo il conflitto mondiale questo episodio fra storia e leggenda diede vita al Carnevale storico, che ha alimentato decennio dopo decennio. Mia mamma fu Contessa nel 1958 ed io Conte nel 1997. Si può dire che, per me come per molte famiglie, esiste un filone che attraversa le diverse generazioni. Per questo a Verrès la serrata carnevalesca ha assunto toni da tregenda. Sono nel gruppo "WhatsApp" dei Conti e Contesse del passato, dove foto e lamentazioni sono fioccate sull'onda del ricordo e della nostalgia. Io, intanto, ho messo sul balcone la bandiera nuova di trinca di chi ha fatto la Contessa o il Conte (mio caso, appunto!). Gruppi di "reduci" a Verrès si sono vestiti per momenti di rimpianto all'insegna della speranza che tutto potrà tornare come prima e questa parentesi scura sembra quasi essere catartica, come il Carnevale stesso, di una rinascita dalle ceneri di quest'anno, come avviene per la celebre Araba Fenice. Anche questo, purtroppo, è la pandemia, che incide non solo nell'economia che soffre e nel tessuto sociale che ne è stato gravemente inciso, ma anche la festosità e il tempo libero sono stati largamente colpiti e in parte affondati. La voglia di ritrovarsi è energia che ci carica per il futuro.