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28 feb 2021

Donne condannate a morte

di Luciano Caveri

Leggevo in queste ore da un giornale qualunque: "Nel 2021 c'è stato un femminicidio ogni cinque giorni. Ieri a Trento ed a Ferrara le ultime due vittime della violenza degli uomini. In un caso l'ex era già stato arrestato. Victoria Osagie, Roberta Siragusa, Teodora Casasanta, Sonia Di Maggio, Piera Napoli, Luljeta Heshta, Lidia Peschechera, Clara Ceccarelli, Deborah Saltori, Rossella Placati. Sono i nomi delle donne uccise in questi primi 53 giorni dell'anno. Nelle sole ultime 48 ore su Deborah Sartori si è abbattuta la furia del marito da cui si stava separando: un colpo d'accetta al collo non le ha dato scampo. Per l'omicidio di Rosella Placati, trovata morta con il cranio fracassato, è stato fermato il compagno". La morte quasi ogni giorno di donne vittime dei propri mariti, compagni o fidanzati è un tragico segno dei tempi sul quale riflettere e stupisce persino l'efferatezza con cui si compiono questi crimini e anche un voyeurismo giornalistico nella loro descrizione.

Ho seguito il dibattito sugli inasprimenti di legge contro i "femminicidi" ed è normale che sia così di fronte alla recrudescenza del fenomeno. L'impressione però è che non basti la minaccia della prigione ad attenuare un fenomeno che persiste e che ogni giorno trova il suo spazio nella cronaca nera. Leggo, come fanno tutti, storie che dimostrano come aleggi in gran parte dei casi il fantasma inquietante della follia ed anche, purtroppo, l'ancora presente sottostima del fenomeno e la lentezza di fronte a segnali macroscopici che indicano come inevitabile il tragico epilogo. L'altro giorno, donne impegnate sul fronte della lotta alla violenza contro le stesse donne mi hanno spiegato come l'attuale situazione di confinamenti e di chiusure, che obbligano a convivenze familiari a rischio, sia foriera di casi piccoli e grandi di aggressività e brutalità e come troppo spesso si veda solo la punta dell'iceberg. Non a caso mi è stato chiesto di parlarne di più nelle scuole ed attraverso la formazione e l'informazione degli studenti di portare la questione a casa, affinché si accendano i segnali di allarme che spesso servono a evitare il peggio. Ma spiegare le cose con linguaggio chiaro ed esempi concreti serve anche a sradicare mentalità, pregiudizi, paure e storture che penetrano come veleni nella nostra quotidianità. Ma certo bisogna anche avere il coraggio di rompere un tabù e cioè il fatto - reso eclatante da una miriade di cattive notizie - di come, oltre alla violenza inutile e l'aggressività brutale, esistano sia la cattiveria ma anche la pazzia. Torno sul punto perché trovo che ci sia omertà sul punto perché sembra essere politicamente scorretto parlarne. So che attorno ai "matti", come si diceva un tempo, si siano distrutte nei secoli vicende umane tristissime, di cui i manicomi sono diventati simbolo da combattere e giustamente, però bisogna trovare il modo - civile ma fermo - per dire che le persone pericolose in modo manifesto di fanno un baffo di provvedimenti come gli ordini restrittivo o persino della galera. Così si ingenerano tragedie che diventano oggetto dei soliti commenti scandalizzati, di denunce postume nel solco «si poteva evitare» o «lo avevano detto». Lacrime di coccodrillo che arrivano a delitti compiuti. Ci vuole polso senza buonismo o pietismo, altrimenti sono tutti bravi a dire dopo quel che si temeva che potesse succedere. Una rassegnazione ed un'indolenza che trovo gravi ed inconcepibili.