Ho partecipato, com'è avvenuto molte volte, alla celebrazione dell'anniversario dell'Autonomia. Cerimonia ancor più sottotono del solito per via del "covid-19" e delle restrizioni conseguenti. Per altro - diciamocelo con sincerità - la data del 26 febbraio non ha mai avuto una risonanza popolare, per quanto resti un passaggio importante per l'ordinamento politico e l'assetto costituzionale contemporaneo. Per essere sincero, i valdostani all'epoca speravano in un'Autonomia ben più forte, ma così emerse dalle vicende della storia. Per questo proposi, come data simbolo di una nostra vera e propria "Festa della Valle d'Aosta", il 7 settembre. Da una parte è da sempre festività ad Aosta perché San Grato è Santo Patrono della Diocesi di cui dovrebbe essere stato secondo Vescovo, dall'altra risulta una festa laica, essendo questa la data canonica delle udienze dei Savoia nel Duché d'Aoste. In più ad abundantiam, per caso, data di emanazione dei decreti luogotenenziali del 1945, alla base dell'attuale regime autonomistico prima dello Statuto e quasi più marcante dopo la Liberazione.
Per poche volte la celebrammo, perché venne soppressa pochi anni dopo la sua istituzione e siamo tornati alla sola data del 26 febbraio nel ricordo, come detto, dell'emanazione dello Statuto di Autonomia nel 1948. Purtroppo ciò avviene senza emozioni e senza sentimenti in petit comité nel ristretto cerchio delle autorità ed è un peccato che ciò avvenga, quando invece una festa calda e partecipativa - una festa popolare gioiosa - farebbe la differenza. Mai come ora, nella difficoltà e nell'incertezza, bisogna dimostrare che i decisori, nella logica pro tempore dei ruoli istituzionali, non sono generali senza truppe, ma portavoce di un idem sentire vivo e vegeto. In occasione di certi momenti celebrativi, benché ingessati nella loro ufficialità, mi trovo sempre a pensare di quanto mi sia stufato di dover lavorare sulla difensiva. E lo dice chi - per mia fortuna dati alla mano - pensa, forse immodestamente, di aver portato a Roma modifiche migliorative dello Statuto speciale e nella legislazione ordinaria, così come nel lavoro a Bruxelles e ad Aosta. L'ho fatto senza mai arroccarmi e chiudermi in chissà quale fortezza, anzi considerando da sempre quanto sia meglio attaccare che difendersi. Questo significa esercitare poteri e competenze senza paura e cercare nuovi spazi di libertà senza preclusioni o timori. Ma questo presuppone comprensione del perché questo sia legittimo farlo e dimostrare fierezza nelle proprie convinzioni e sapendo rispondere colpo su colpo senza violenze o aggressività, ma certo neppure facendosi prendere per il naso da chi crede che i montanari siano fessacchiotti da far girare come si vuole. Ho sempre aborrito questa idea, per altro ormai divulgata da certa letteratura recente sul mondo della montagna, scolpita come passatista ed intrisa di luoghi comuni di chi la vede con occhi di turista convertito ad immagini di fantasia e di seconda mano. La Politica dovrebbe ribellarsi a certe vulgate e semplificazioni, che penetrano poi come parassiti nel modo di vedere le nostre Alpi e le popolazioni che le abitano.