L'Autonomia valdostana - di cui oggi si festeggia la Giornata di emanazione dello Statuto, avvenuta 73 anni fa - esce acciaccata dall'ultima decisione della Corte Costituzionale di invalidare per incostituzionalità parte della legge regionale con cui la Valle d'Aosta si era ritagliata delle possibilità di adeguare le regole legate alla pandemia alle proprie condizioni particolari. Legge per altro quasi identica rispetto ad analoga normativa della Provincia di Bolzano, che non venne impugnata a tempo debito a dimostrazione di come per Roma ci siano, fra Autonomie speciali, due pesi e due misure. Questione davvero grottesca dal punto di vista giuridico, di cui i giudici costituzionali non hanno tenuto conto e ciò è quantomeno curioso, però esemplare di una visione centralista come aria dei tempi di cui diffidare.
Occorrerà leggere la sentenza nei suoi particolari per capire come e a che livelli di incidenza la Consulta abbia "asfaltato" il legislatore valdostano ed i poteri regionali. Sarebbe stato logico che il Governo Draghi, in scia con la decisione annunciata dal ministro delle Regioni Francesco Boccia, avesse ritirato il ricorso ed avesse evitato questa sentenza antiregionalista, che potrebbe in più essere un boomerang anche per lo Stato per certe implicazioni giudiziarie in corso per quanto avvenuto nei primi momenti della pandemia ad esempio in Lombardia. Facile capire, per altro, perché Boccia avesse ammorbidito le posizione del Governo "Conte bis" nella speranza (uso la minuscola ma verrebbe voglia di evocare Speranza, il pessimo ministro della Sanità) della nascita del "Conte ter" con il voto prezioso se non indispensabile al Senato del valdostano Albert Lanièce. Voto ora meno utile, tant'è che lo stesso Mario Draghi nelle repliche a Palazzo Madama non ha detto una parola su quanto richiesto dal nostro parlamentare. Silenzio imbarazzante per chi conosca le regole parlamentari in fase di voto di fiducia, quando spetta al Presidente del Consiglio dare risposte ai temi posti nella discussione in aula e non occuparsene è uno sgarbo. Non voglio mettere il carro davanti ai buoi, perché il Governo dai colori d'Arlecchino dovrà essere giudicato sui fatti. Tuttavia inutile dire che essere vigilanti è del tutto indispensabile, perché il clima in epoca di pandemia è certamente quello di una centralizzazione delle decisioni per via dell'emergenza, che può essere cavalcato dallo Stato come utile "cavallo di Troia" per invadere campi di pertinenza della democrazia locale. So bene che la storia valdostana, dal dopoguerra ad oggi, cioè in questa epoca di Autonomia che va dal Decreto luogotenenziale del 1945 attraverso lo Statuto del 1948 sino ad oggi, è stata piena di momenti oscuri e situazioni complicate che hanno danneggiato la nostra Autonomia. Per cui non è questione nuova e capisco che per alcuni ogni drammatizzazione possa essere considerata una specie di refrain ripetitivo oppure bollata come una sorta di «al lupo, al lupo» della celebre favola. Ma ci sono elementi oggettivi e concreti, quando si prospettano grandi riforme e c'è sempre da temere il peggio. Il regionalismo ordinario e quello differenziato sta sulle scatole a destra come a sinistra e le riforme costituzionali sono sempre minacciose su questo fronte. Sarebbe ora che le Regioni tutte e in particolare quelle a Statuto speciale facessero sistema fra di loro ed iniziassero a controbattere alla vulgata di una sostanziale inutilità delle Regioni nel nome di una logica romanocentrica che preoccupa seriamente, e si tratta di una modellistica impositiva e priva di un adattamento locale che, come dice l'andamento della pandemia, non ha funzionato.