La retorica delle scorse ore, riversata a fiotti sul lavoro con il 1° maggio, non nasconde la realtà di trasformazioni in atto su cui è bene riflettere, sospesi come siamo su di una specie di oscillante ponte tibetano. La prima questione, assai bruciante, sta tutta nell'impatto ancora in corso a causa della pandemia, che sale e scende capricciosamente rovinandoci la vita. Le conseguenze delle azioni di divieto e confinamento intraprese per fermare i contagi hanno avuto due effetti dirompenti sul lavoro. Da una parte c'è chi ha subito la conseguenza devastante o di perdere il proprio lavoro o di trovarsi con le attività rallentate o fermate con il rischio di non riuscire più a ripartire. Un impatto terribile sul sistema economico e sul benessere materiale e mentale delle molte persone che stanno subendo le conseguenze di questo arresto che ha colpito settori nevralgici con un effetto valanga. Ognuno di noi ha ben presente a cosa mi riferisca e al disagio, la frustrazione e persino la disperazione in cui troppi versano, pretendendo giustamente aiuti per non andare a fondo.
Dall'altra è emerso l'uso, con una percentuale enorme nel settore pubblico, del cosiddetto "smart working", cioè il "lavoro agile" prevalentemente dalla propria casa in remoto. L'assenza di regole certe per via del suo uso improvviso e molto prolungato ha creato situazioni diversissime ed in molti casi insoddisfacenti e certo è ora di fissare norme e comportamenti con chiarezza e determinazione sui modelli futuri, cessata l'emergenza. Ma le circostanze sfavorevoli in cui siamo immersi, con l'ansia e la preoccupazione di non capire quando mai e come torneremo ad un'accettabile normalità, ci obbligano anche a riflettere di più - e lo faccio personalmente da tempo - su come mantenere il controllo sui nostri tempi dedicati al lavoro. Mi sono ritrovato, per mia scelta, ad avere un buon numero di responsabilità politiche e come tali senza orari precisi e così è sempre stato con buona pace di chi dipinge politici-amministratori come parassiti nullafacenti. Sin dagli esordi della mia carriera politica, ho cercato di smontare questa immagine falsa e ormai non ci provo neanche più, perché troppo radicata ed alimentata da un qualunquismo che diventa antipolitica senza possibilità di dialogo. Ma, come per molte altre attività, ormai il dilatarsi del lavoro avviene per la nuova schiavitù digitale. Un tempo esistevano momenti di stacco, mentre oggi in una giornata standard stento a prendermi momenti che non abbiano connessione con quanto devi fare e seguire per i compiti lavorativi che ti spettano. Il telefonino è stato il primo strumento terribilmente invasivo dei tuoi spazi di riposo, di studio e di svago con la portabilità dei problemi che ti inseguono con le chiamate sempre ed ovunque. La posta elettronica è anch'essa subentrata con un inseguimento senza orari e senza ragionevolezza, amplificata da messaggerie varie evoluzione, come "Whatsapp" o "Telegram", degli sms che seguirono alla prima telefonia mobile. Si è aggiunto l'incubo a tutte le ore degli "Zoom", dei "Meet" e dei molti altri strumenti per le riunioni a distanza, che hanno dilatato i tempi di confronto in logoranti videoconferenze che stremano. Ora si inizia a capire come le misure di protezione soggettive, cioè la nostra personale non semplice autodisciplina che contrasti rischi di dipendenza digitale, non bastino più e ci vogliano regole universali che ci salvino da eccessi e sovraesposizioni, che finiscono per essere una nuova schiavitù. Bisogna prendere misure in fretta per evitare che strumenti preziosissimi e innovativi diventino come sbarre di una prigione in cui veniamo reclusi per sgobbare al di fuori del sonno.