La manifestazione più importante che si svolge in Valle d'Aosta dal 1963 per la valorizzazione del francoprovenzale è il "Concours Cerlogne", che quest'anno ha mobilitato 998 allievi fra materne e primarie con 134 insegnanti. Il patois o meglio "i patois", visto che ogni paese della Valle ha il suo pur in presenza ormai di una koinè, restano un fenomeno importante per questa lingua popolare, riconosciuta ufficialmente dal 1999 nella legge di tutela delle minoranze linguistiche storiche. Mancano ancora, a mio avviso, delle norme di attuazione che possano meglio definire alcuni aspetti per il suo uso e non mi infilo, invece, nella disputa assai delicata sulla possibile normalizzazione linguistica, cioè in una maggior codificazione a detrimento del pluralismo delle varianti località per località. Quest'anno la manifestazione, per via della pandemia con le scolaresche che arrivano contingentate a Brusson, sede prescelta, è stata purtroppo sottotono, oltretutto flagellata dal maltempo. E' mancato, insomma, quel mélange allegro che ho vissuto in altre occasioni.
Nel presentare ai ragazzi la manifestazione ho pensato di spiegare loro chi fosse questo prete, Jean-Baptiste Cerlogne (1826-1910), cui è dedicata la manifestazione. Tipo assolutamente bizzarro: ramoneur (spazzacamino) da piccolo a Marsiglia, sguattero nella stessa città (dove ascoltò il coro di Alfred Roland e la canzone "La Tyrolienne des Pyrénées" da cui nacque, su sua idea, l'inno valdostano), poi soldato nelle guerre d'Indipendenza, cuoco al Seminario di Aosta e poi da seminarista a prete. Ma soprattutto il primo che cominciò a scrivere poesie in francoprovenzale, prima la poesia esisteva di certo, ma come tradizione orale. Ho pensato di raccontarlo brevemente per un mio antico tarlo, che parte dalla intitolazione delle strade e delle piazze nei nostri paesi. La fregatura, come l'intitolazione di una manifestazione, sta nel fatto che piano piano nel tempo la gran parte delle scelte degli "odonimi" (così si chiamano le denominazioni) perde di significato e questo è un vero peccato: un pezzo di memoria che diventa evanescente e misteriosa come tutta la toponomastica, quando se ne perde il ricordo puntuale. Come fare? Basta una brevissima iscrizione accanto ad un nome o un cognome, ad una località, ad una data? Ovviamente non basta. Verrebbe oggi in mente di apporre, laddove abbia una forte significatività, un "qr code", che consenta con il nostro telefonino di estrarre informazioni a beneficio anche dei turisti curiosi di capire le mappature come stratificatesi nel tempo e non solo dei residenti che si vogliano informare. Vero è, purtroppo, che l'evoluzione tecnologica galoppa e si rischiano ingenti investimenti "esplicativi", che potrebbero poi essere superati da novità che interrino quelle precedenti. Resta il rimpianto dell'oblio e di intitolazioni che finiscono per scorrere via come la sabbia fra le dita. Può valere, per questo è per altro, l'ammonimento di Mario Rigoni Stern: «La memoria è determinante. E' determinante perché io sono ricco di memorie e l'uomo che non ha memoria è un pover'uomo, perché essa dovrebbe arricchire la vita, dar diritto, far fare dei confronti, dar la possibilità di pensare ad errori o cose giuste fatte. Non si tratta di un esame di coscienza, ma di qualche cosa che va al di là, perché con la memoria si possono fare dei bilanci, delle considerazioni, delle scelte, perché credo che uno scrittore, un poeta, uno scienziato, un lettore, un agricoltore, un uomo, uno che non ha memoria è un pover'uomo. Non si tratta di ricordare la scadenza di una data, ma qualche cosa di più, che dà molto valore alla vita». Anche per strada, in una piazza, di fronte ad un monumento.