Il Piano di Resilienza è una grande operazione messa in piedi dall'Unione europea per una ripartenza dell'economia e della società. I soldi ci sono e sono copiosi e nulla di questo genere è mai stato fatto a livello comunitario. Tuttavia qualcosa non torna e ho aspettato a scriverne a fondo sino a quando non ne ho avuto certezze che alimentano alcune preoccupazioni. Ho seguito con il presidente Erik Lavevaz il "Recovery Fund" alias "New Generation" per la semplice ragione che ho la delega sugli Affari europei. Quando ancora le scelte italiane erano abbozzate dal Governo Conte bis, avevamo avuto dall'oggi all'indomani la richiesta di mandare dei progetti che avessero una buona certezza di essere realizzati entro il 2026. Dalle diverse branche della nostra Regione ne arrivarono in fretta e furia 51 che girammo allo Stato per un totale di circa un miliardo di euro. Avessimo avuto tempo saremmo stati più analitici e riflessivi.
Poi è calato il silenzio ed è sopravvenuto il Governo Draghi, certo più autorevole in Europa per via della leadership ben conosciuta a Bruxelles. Ho partecipato per la Valle a diversi videoconferenze con i ministri interessati, che hanno avuto una premessa con il Premier in persona. Fu lui ad essere rassicurante ma vago nel definire un ruolo delle Regioni, che poi non è apparso chiaro né nel corso del passaggio parlamentare e neppure nel documento in inglese inviato a Bruxelles. Apro una parentesi. Mi aveva colpito che, durante le sue consultazioni, Mario Draghi avesse inserito le Regioni. Mi pareva utile e innovativo. Poi avevo notato che assieme ai poteri locali - posti tutti sullo stesso piano, quando le Regioni sono su di uno scalino superiore a Comuni e Province - aveva sentito sindacati e diverse associazioni. Come dire: una specie di miscellanea non molto chiara sul piano dei livelli costituzionali. Ma torniamo agli incontri con Draghi e ministri: in sostanza si è trattato di monologhi più o meno interessanti, a seconda della caratura dei protagonisti. La logica è sempre stata unidirezionale, come dire che il volante era nelle loro mani e restava indeterminato e comunque subalterno il ruolo decisionale e operativo delle Regioni. L'idea pareva prefigurare la previsione di un flebile decentramento, mentre il ruolo delle Autonomie, in particolare quelle Speciali, dovrebbero essere ben altra cosa. Nelle scorse ore nuovi incontri con la ministra delle Regioni Maria Stella Gelmini hanno confermato il il rischio di un ruolo da comprimari in barba alla geometria istituzionale fissata dalla Costituzione. Così si evince dall'emanando decreto monstre sulla Governance, malgrado alcune correzioni che si aspettano per il giudizio finale che resta per me al momento assai critico. Mi auguro seriamente che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ci metta una pezza e spieghi a Draghi ed alla sua squadra come debbono funzionare le cose per avere uno sforzo più corale. E non è un capriccio, bensì coerenza assoluta con le linee europee, che credono nella sussidiarietà - cioè nel rispetto dei diversi livelli di governo - ben più di quanto pare si pensi a Palazzo Chigi. Sarà bene che le Regioni, specie le Autonomie differenziate, alzino il tono è non accettino imposizioni centraliste nel nome delle emergenze. Già come sistema autonomista abbiamo digerito cose ingiuste con le regole centraliste della pandemia, ma se anche il "Recovery" dimostrasse un dirigismo tecnocratico irrispettoso delle Regioni allora si uscirebbe ulteriormente dai binari. Certo i soldi mai come oggi necessari arriveranno anche da noi, ma sarebbe molto negativo se fossero incanalati senza nessuna intesa reale con chi conosce territorio e popolazione, così come problemi e urgenze. Va sempre contestata la presunzione di uno Stato che funzioni con mirabile efficacia e grande capacità rispetto a Regioni scalcinate e incompetenti. Semplicemente perché è un'immagine che non corrisponde alla realtà. Solo remando tutti dalla stessa parte si potrà davvero ripartire.