Si avvicina la fine, pur con qualche eccezione, dell'obbligo di portare sul viso la mascherina. Una schiavitù cui ci siamo sottoposti dall'inizio dello scorso anno e alla quale mi sono, talvolta obtorto collo, piegato. Ne ho infatti sempre comprese e condivise le ragioni sanitarie per contrastare il virus. Ricordo una polemica iniziale, subito spentasi, dei "no-mask", che anche nelle scuole volevano sradicare l'uso della mascherina, mentre bambini e ragazzi si sono assuefatti in fretta e senza polemiche. Ogni tanto mi dico che, quando finirà la pandemia, forse in certe occasioni sarà salutare sfoderare la mascherina per non ammalarsi. Credo che tutti ci siamo accorti che abbiamo avuto, al di là del "covid-19", meno malattie invernali, tipo raffreddori o influenze. Sarà dunque una nuova norma igienica che non avremo difficoltà a seguire.
Ma torniamo alla faccia, quella vetrina di noi stessi che ci portiamo in giro e che siamo costretti, per come siamo fatti, a far vedere agli altri più di quanto noi stessi possiamo vederla. Voglio tornare a guardare le persone in faccia e non solo negli occhi, come accade con larga parte del volto coperto per profilassi. Sappiamo bene quanto contino le espressioni facciali: abbiamo - come ci dice la Scienza - interi circuiti cerebrali dedicati al riconoscimento del viso e della sua mimica. Sul nostro volto ci sono tanti muscoli che ci permettono di creare moltissime espressioni, in una combinazione di emozioni e di messaggi utili per i momenti più disparati. Tutto questo accade spontaneamente ed in un battibaleno, senza che noi pianifichiamo che accada, con reazioni al variare delle nostre emozioni e in risposta a quelle altrui. Sono segnali sociali che ci permettono di interagire, capendo ad esempio se una persona è giovane o vecchia, maschio o femmina, se è amichevole nei nostri confronti oppure se è aggressiva. In più noi esseri umani - chi più, chi meno, perché è un'abilità - siamo dei riconoscitori facciali, in grado di individuare e ricordare molti individui diversi per tutta la nostra vita. Io riconosco abbastanza i volti, ma spesso mi infogno sui nomi! Se odori, vocalizzi o cinguettii sono i tratti distintivi che nel mondo animale permettono di riconoscere un individuo dall'altro, gli esseri umani fanno invece molto affidamento sulle caratteristiche del viso per distinguere i loro simili. Il nostro volto, secondo uno studio dell'Università della California di Berkeley pubblicato su "Nature Communications", si sarebbe infatti sviluppato nel tempo proprio per essere unico e facilmente riconoscibile. Ogni volto - prestateci attenzione - è diverso dagli altri, al contrario della maggior parte delle altre misure del nostro corpo. Certo, poi esistono tratti ereditati e familiari, ma ciascuno con il proprio tocco di originalità. «Guardarsi in faccia» è davvero una specialità umana, che certo ha similitudini in altri Primati di cui noi siamo "espressione più in alto sulla scala", che ci consente - sempre con la nostra faccia - di passare da un'espressione di rabbia ad una di dolcezza, di sfida o d'interrogazione, di odio o di amore. Per questo siamo stati come spenti, durante l'obbligo della mascherina, in una straordinaria capacità di comprenderci vicendevolmente o in gruppo con un semplice sguardo, che unito a sorriso, occhi, posture ci consente di avere un vocabolario corporale che non è eguali per via della nostra intelligenza. Quell'intelligenza che ci distingue e che viene combattuta dai militanti dell'antispecismo, che tengo ormai più per il mondo animale che per quello umano. Un'inversione di valori che sfiora talvolta il masochismo e che non ha nulla a che fare con l'equilibrio che noi esseri umani dobbiamo avere con gli altri esseri viventi. Ma intanto godiamoci tra poco quella liberazione dalla mascherina che è una tappa assai significativa nel ritorno a quel regalo prezioso che sarà la normalità.