Mi piacciono gli elenchi delle cose da fare. L'altro giorno ho trovato una vecchia agendina della Camera dei deputati nella quale avevo dedicato alcune pagine ad un elenco puntuale di questioni da risolvere, frutto evidente di un continuo computare. L'ho sempre trovato un metodo utile: ricordo quando si incontravano i presidenti del Consiglio incaricati e con il mio collega Senatore valdostano di turno presentavamo le nostre ragioni nel rapporto con il Governo. Ero sempre io che scrivevo la necessaria memorietta da lasciare, secondo il sacrosanto principio del "verba volant, scripta manent". Se vado poi a leggere i discorsi alla Camera per il voto di fiducia trovo una sintesi ulteriore con gli argomenti più topici. Questa mia tendenza grafomane, che si fa evidente nel Blog in cui state leggendo questo post, è tornata utile ogni volta che mi è toccato - ma l'ho sempre fatto con piacere - scrivere i programmi e non solo per elezioni in cui sono stato in lizza. «Fai tu», così molte volte sono stato apostrofato e mi sono messo lì a scrivere e predisporre poi la messa in bella copia negli stampati necessari da proporre agli elettori.
I programmi sono utili, dapprima per le elezioni e poi da presentare nelle Assemblee elettive come fonte di dibattito e di confronto. Difficile nell'elaborazione e nella scrittura essere comprensibili e toccare tutti i punti salienti. Ma l'esercizio è utile per vedere a che punto siamo e quali siano i nodi più urgenti e più delicati. Ho sempre cercato di essere concreto e non demagogico con promesse vane o furbesche, sentendomi talvolta una mosca bianca rispetto a chi le ha sempre sparate grosse senza troppi rimproveri. Oggi lo si chiama "populismo", nella notte dei tempi era già "demagogia". Anche oggi mi trovo ad avere a che fare con i programmi ed anche con quella versione più moderna che sono i "documenti di programmazione", che assumono una veste ancora più ufficiale. Confesso che l'esperienza ha due aspetti. Il primo è che considero ancora utili questi riassunti, che come dicevo fanno parte del mio approccio. Il secondo è che mi sono stufato di chi, una volta scritto un programma che talvolta assume vaghezza quando le maggioranze da formare non hanno le stesse idee su di una argomento, considera i programmi con un'aurea di sacralità, come se certe cose fossero scritte per sempre sulla pietra, tipo dieci comandamenti. Viviamo invece - senza scomodare la pandemia con i suoi sconvolgimenti - in un mondo veloce e cangiante, in cui tutto muta con una velocità tale che non corrisponde affatto ai tempi lenti della democrazia, per non dire di quelli dell'Amministrazione cui spetta poi la concretizzazione di qualunque progetto. Per cui bisognerebbe avere il coraggio con periodicità altrettanto rapida di continuare a mettere a punto quanto entra o esce di scena, avendo un minimo di capacità predittiva per non essere ridicoli e fermarsi su questioni decotte o che verranno chissà quando rispetto alle emergenze che emergono invece prepotenti. Per contro, il dogmatico è rigido come un baccalà e si ferma e si impunta tipo mulo intestardito, invocando il programma come se fosse il "santo Graal", mentre la vita pulsante scorre sotto i nostri occhi con problemi veri che vanno affrontati di petto prima che tutto si imputridisca. Per cui, se mai vi capitasse, diffidate di chi vi agita sotto il naso il programma e ne afferma l'intangibilità e invitate l'esagitato al buonsenso di considerare ogni cosa in progress. Ha scritto Karl Popper e vale anche per la politica che pure non è una scienza esatta: «L'atteggiamento dogmatico è chiaramente legato alla tendenza a verificare le nostre leggi, o schemi, cercando di applicarli e di confermarli, anche a costo di trascurare le confutazioni; mentre l'atteggiamento critico è pronto a cambiarli, a controllarli, a confutarli e a falsificarli, se possibile. Ciò suggerisce che l'atteggiamento critico è identificabile con l'atteggiamento scientifico, e l'atteggiamento dogmatico con quello che abbiamo denominato pseudoscientifico».