L'estate scorsa per il turismo sulle Alpi fu un successo, reso ancora più gioioso perché si pensava, ingenuamente, che il peggio fosse passato. Poi, in un cupo contrappasso, arrivarono vicende drammatiche legate alla pandemia e, nel turismo, si registrò il blocco della stagione sciistica con un impatto disastroso. Un caldo-freddo che ha colpito duro e non è stata solo una questione economica, considerando il suo impatto sociale persistente. C'è stato però anche l'impatto psicologico che ci ha indeboliti: il virus pareva essere una parentesi e come tale destinata a chiudersi in un tempo ragionevole e così non è stato e questo genera disagio e pessimismo. Aggiungerei che l'inverno senza il turismo dello sci ha dimostrato la profonda incomprensione dei decisori romani rispetto alla particolarità del mondo della montagna ed ha segnalato la debolezza delle sua rappresentanze politiche, che non sono riuscite a sbloccare la situazione, a dispetto degli interessi in gioco. Per le spiagge ora si cambiano persino le regole con cui "colorare" le Regioni. Italia mediterranea... Quel che è certo siamo pieni di incertezze e di interrogativi.
L'estate è avviata e pare che per il turismo in generale la situazione non funzioni molto, ciò è ben visibile nello stesso modo anche sulle Alpi e purtroppo per noi, che facciamo parte di questo sistema, a situazione è la medesima. In attesa dei dati ufficiali, che sono poi rappresentativi sino a un certo punto, quel che conta sono le impressioni raccolte e le sensazioni personali, che non sono per nulla buone. Solo a partire da questo giorno probabilmente qualche cosa si muoverà sino al mitico Ferragosto. Il confronto con quel che avvenne un anno fa è impietoso per giugno e luglio. Confesso di non avere strumenti per capire a fondo la situazione. Sarà vero che dal punto di vista meteorologico l'estate è stata sinora più che zoppicante, mentre nel 2020 il bel tempo era stato attirante e la calura nelle grandi città del Nord spingeva naturalmente a cercare refrigerio sulle Alpi. Mancano in più gli stranieri, vista la difficoltà di muoversi non compensate dal pur utile "green pass" e tardivamente si è capito come questo strumento debba essere adoperato come elemento premiale rispetto a chi non voglia vaccinarsi. Resta la constatazione di come tutti siamo preoccupati e goffi, quasi rinunciatari rispetto alle vacanze per paura del virus e delle prospettive incerte. La politica vaccinale procede ma non rassicura sino in fondo e resta la solita contraddittorietà nelle decisioni governative, che sono un disincentiva non solo rispetto al turismo all'estero oggettivamente critico, ma pesano anche sul quello interno. Non so come ne usciremo e temo moltissimo per la prossima stagione invernale. Non ci si potrebbe affatto permettere un nuovo stop: le risorse per i ristori sono al lumicino e si accresce la preoccupazione per il domani che può spingere molti a "mollare". Mai come ora le Regioni alpine avrebbero bisogno più che farsi la legittima concorrenza di capire le strategie comuni per reagire. Questo varrebbe già nella normalità, figurarsi di fronte all'impatto della pandemia sul turismo che va a colpire un settore vitale. Riflettere sull'estate serve in qualche modo per ragionare sull'inverno. Già i protocolli dello scorso anno - come dimostrato dalla Svizzera con gli impianti a fune sempre aperti - erano strumenti utili per mantenere le attività. Ma le autorità sanitarie e soprattutto la parte rigorista della politica "romana" chiusero ogni porta e non dialogarono. Se così fosse anche quest'anno, non ci si potrà limitare a lettere infuocate o a prese di posizione indignate. Bisogna rifletterci ora.