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24 ago 2021

Il Gatto Maimone

di Luciano Caveri

Credo che nel retaggio della memoria di ciascuno di noi ci siano i metodi, anche divertenti per loro e meno per noi, con i quali i nostri genitori cercavano di tenerci buoni. Non esistevano grandi manuali di apprendimento e si lavorava sul buonsenso ed il passaggio generazionale. Ricordo quando nacquero i miei figli l'horror vacui rispetto a come ci si dovesse comportare e naturalmente il procedimento più semplice è in parte quello imitativo, seguendo le abitudini culturali che ci hanno forgiati. Più volte ho pensato - spero che si capisca l'ironia, ma preciso che è così - che ci vorrebbe una "patente di genitorialità", prima di mettere al mondo dei bambini ed impegnarsi di buzzo buono per educarli. Un paradosso apparente che si sgretola in un battibaleno, quando vedi in giro bambini maleducati che sfociano in adolescenti teppisti ed adulti conseguenti. Sarà pur vero che certe rudezze dell'educazione parentale di un tempo sono state legittimamente bandite, ma certo buonismo e determinate mollezze non mi pare che diano grandi frutti.

Ci pensavo a questa storia di come crescere i nostri figli, ma lo facevo sul filo del sorriso, riflettendo su come io stesso mi rifacessi a certa modellistica appresa. Mi raccontava mia figlia della paura che le facevo, quando la rimproveravo da piccola, invocando l'arrivo del Gatto Maimone se non faceva la brava. Io stesso, usando questa espressione che non so bene da quale branca della famiglia mi giungesse, non sapevo un tubo di come fosse fatto questo gatto, se non che si trattava di un essere mostruoso e minaccioso. Ora su "Wikipedia" capisco che dovrebbe davvero fare paura: "Il gatto mammone o "gattomammone" è una creatura magica della tradizione popolare, con le caratteristiche di un enorme gatto dall'aspetto terrificante. Il suo nome deriva dall'incontro del termine "gatto" (animale nel Medioevo associato al diavolo) con un'altra parola come "maimūn" (che in arabo significa "scimmia") oppure "Mammona", parola dall'incerta etimologia che in lingua aramaica è attributo del demonio. Tale gatto sarebbe stato infatti dedito a spaventare le mandrie al pascolo e avrebbe avuto movenze ed espressioni demoniache. Il suo verso è una via di mezzo tra il ruggito e un inquietante miagolio, ciò nonostante è tanto furtivo da assalire persone ignare e sbranarle senza lasciare neppure le ossa. Tuttavia, in altre narrazioni ha funzione protettiva ed è uno spirito positivo, immune agli effetti nefasti degli incantesimi di altri spiriti (vedi strego). In alcuni casi, ha una "emme" bianca sul muso nero, talvolta è tutto nero e si nasconde negli angoli bui. Secondo alcuni studi, la tradizione del "gatto mammone" affonderebbe le sue radici tra la civiltà dei Fenici: dio Maimone o nell'Antico Egitto, in cui i gatti erano animali sacri e simboli di fertilità (dio Amon). Con l'avvento del Cristianesimo questi antichi rituali pagani sarebbero stati prima demonizzati e poi racchiusi nel Carnevale che precede la Quaresima, ed i loro simboli trasformati in maschere". Mica male la profondità di certe tradizioni. In un caso, nel filone minaccioso, con l'ultimo nato ci inventammo con mia moglie la terribile "Polizia del sonno". A Saint-Vincent attorno alle 8 di sera suona una sirena per avvertire chi si trova nel cimitero in visita a lasciare il camposanto che viene chiuso con un sistema automatizzato. Ebbene, quella sirena divenne - per convincere il piccolo che si tratta dell'ora della nanna - il segnale dell'inizio, partendo dalle frazioni montane del paese, della ronda di questi poliziotti incaricati di vigilare sul fatto che i bambini andassero a dormire. La pena erano cose terribili, tipo dormire da loro in caserma. Ricordo che Alexis in vacanza chiedeva se ci fossero anche lì i poliziotti che lo minacciavano a casa in mancanza del necessario addormentamento. Qualche scricchiolio all'invenzione genitoriale venne quando mi chiese: «Ma ci sono anche i Carabinieri del sonno?». Ricordo invece, dal più profondo dei ricordi, che la nonna materna, nonna Ines, originaria del paese di Pergola nelle Marche, mi ammoniva con il terribile «Uomo Nero», che altri parenti identificavano nel terribile Babau, una creatura leggendaria, destinata per altro in soffitta dal politicamente corretto. Io non ho mai avuto paura del buio, ma chiedevo le coperte rimboccate molto strette nel letto e nessun armadio o cassetto aperto. Crescendo si scopre che peggio dei mostri o dei cattivi immaginari ci sono, purtroppo, quelli veri in carne ed ossa.