Ho assistito alle prime battute del convegno che la "Fondazione Sapegno" ha dedicato al rapporto fra Dante Alighieri, le sue opere e la scuola alla ricerca di un modo per rendere più allettante per i ragazzi di oggi l'accesso alla "Divina Commedia" e, come metodo generale, ai grandi della letteratura. Un progetto interessante, con studiosi del ramo, introdotto dal professor Bruno Germano, che è presidente della Fondazione, con una lectio magistralis sul ruolo delle Lettere e della Letteratura, in un mondo in cui le scienze umanistiche sembrano declinare con capricciosità di tanti allievi rispetto ad autori, pur immortali, del passato. Lo ha ricordato Germano con garbo, efficacia e un velo di tristezza nel nome di Natalino Sapegno, un valdostano illustre, di cui porta il nome la Fondazione di Morgex nell'antica Tour de Archet ben ristrutturata, ospitando anche carte e libri di questa grande personalità che conobbi fuggevolmente a Roma e che decise prima di morire di lasciare alla Valle una parte cospicua della sua eredità "culturale" con archivi e libri.
Rubo alla "Treccani" e al suo autore Guido Lucchini alcune note a beneficio dei troppi che non ne conoscono la vita e le opere: «Nacque da Giuseppe Maria e da Albertine Louise Viora il 10 novembre 1901 ad Aosta, città della famiglia materna, ma visse i primi anni a Torino, dove frequentò le scuole elementari e ginnasiali, durante le quali ebbe come compagno Carlo Levi, di cui fu amico per tutta la vita. Nel 1916, affidato con la sorella maggiore Giuliana ai nonni materni, fece ritorno nella città natale dove studiò al liceo classico Principe di Napoli, anticipando di un anno l'esame di maturità. Nel 1918 entrò all'Università di Torino, iscrivendosi alla facoltà di lettere, dopo essere stato incerto se iscriversi invece a quella di matematica. Nello stesso anno conobbe Piero Gobetti al concorso per una borsa di studio del Collegio delle Provincie. Nel 1919 morì prematuramente il padre, segretario capo dell'Intendenza di Finanza di Torino, lasciando la famiglia in difficoltà economiche. Sapegno si laureò il 10 luglio 1922 con Vittorio Cian, discutendo una tesi su Jacopone da Todi». Insomma, si perse un matematico e si guadagnò un letterato ed un critico di straordinaria cultura, che ebbe - lo ha ricordato Germano - un legame sempre forte con le radici aostane e con quei semi che nel Liceo Classico di Aosta lo formarono. Ancora la sua biografia: «Nel 1924 curò una scelta di Opuscoli filosofici di Tommaso d'Aquino per la collana dell'editore Carabba, la "Cultura dell'anima", fondata da Giovanni Papini, e, dopo un anno di supplenza (1923-24) presso l'istituto magistrale Regina Maria Adelaide di Aosta, vinto il concorso nazionale per una cattedra di italiano e storia nelle scuole medie superiori, si trasferì a Ferrara, dove insegnò nel locale Istituto tecnico Vincenzo Monti, dal settembre 1925 al dicembre 1936». Tralascio il cammino verso la sua ascesa nel mondo universitario, ricordando solo che nel 1937 divenne docente all'Università di Roma, dove insegnò fino al 1976. Segnalo che «fra il 1938 e il 1943 fu legato al Gruppo antifascista romano, cui appartenevano fra gli altri Pietro Ingrao, Carlo Muscetta, insieme con gli allievi Carlo Salinari e Mario Alicata. Morì a Roma l'11 aprile 1990». Poi propongo un altro passaggio dalla stessa fonte: «Fondamentale negli anni della sua formazione a Torino fu il rapporto di amicizia e di collaborazione con Piero Gobetti, cui dedicò un saggio nel luglio del 1946, nel quale insisteva in particolare su "l'esperienza del comunismo torinese e lo scambio d'idee con Gramsci", contrapponendo l'intellettuale torinese a Carlo Rosselli e al suo socialismo liberale, in una polemica, che si prolungò anche nei decenni successivi (in particolare con Norberto Bobbio), contro il Partito d'Azione (Pd'A), o meglio intorno alla sua eredità. Risalgono agli anni Venti anche le amicizie torinesi più significative: Franco Antonicelli, Federico Chabod, Mario Fubini, e due critici militanti, Sergio Solmi e Giacomo Debenedetti. (…) Nel 1924, quando già stava allontanandosi dalla politica militante, pubblicò nel primo numero della rivista quindicinale di critica letteraria "Il Baretti", fondata a Torino quell'anno da Gobetti, un articolo, Resoconto di una sconfitta (…) Sapegno prendeva subito le distanze dalla lettura di Benedetto Croce data nel primo Novecento, sintetizzando la lezione del filosofo e del critico in una definizione nuova del concetto di poesia e in una chiara distinzione dell'arte dalla filosofia». Segno di un carattere coraggioso pensando al ruolo di Croce e del suo pensiero in quegli anni e in quelli successivi. Infine: «Storico della letteratura, ma anche attento lettore dei contemporanei diventò per generazioni di studenti l'autore della storia della letteratura italiana per antonomasia». Ricordo ancora - per inquadrarne la figura - che nel 1944 Sapegno si era iscritto al Partito comunista italiano (PCI), da cui uscì dopo i fatti di Ungheria del 1956. Proprio nel dopoguerra proseguì un lavoro vastissimo e prolifico di studi a tutto campo. La sua critica e le sue idee hanno accompagnato gli studi di chi ha studiato materie letterarie e il suo lavoro su Dante Alighieri restano fondamentali. Giusto ricordarlo in un mondo troppo spesso senza memoria.